“‘O stregone”, Lauro e Miale
trovano l’alchimia giusta

In un sottoscala della memoria, virtuale forse ma con un arredo perfetto da piccolo chimico, Davide Raffaello Lauro con la regia di Peppe Miale mette in scena “‘O stregone”, in un Nouveau Théâtre de Poche mai così fisicamente adatto come in questa occasione. E l’occasione é di quelle ghiotte: raccontare una “tranche de vie” in un’ora tesa e vibrante, grazie all’adesione perfetta dell’attore-autore. Ecco quindi Michele, inchiodato ai tarli del pensiero (e del dolore) alla ricerca della formula magica per lenire le ferite della vita, e i guasti dell’esistere. Nel frattempo, da un altrove fin troppo prossimo, echeggiano gli sberleffi dei bulli dell’adolescenza, pronti ad umiliare le attitudini intellettuali di un ragazzo che “vola troppo alto” rispetto alle miserie della massa. E invece è solo Anima.

Peppe Miale lascia la scena al giovane Lauro, donandogli una regia sciolta e narrativa, e allo stesso tempo esaltandone i cambi di registro, gestiti con notevole disinvoltura. Davide si muove scalzo sulle nobili pietre del teatro di via Tommasi, incorniciato dalle bellissime e funzionali scene di Rosita Vallefuoco. Sono credibili sia i momenti di respiro che virano verso una commedia efficace e misurata, sia i picchi drammatici, in cui l’attore buca quasi la quarta parete per confidare, vis é vis col pubblico, le sue ferite più intime.

Applausi e consensi: è un teatro elegante ma anche crudo e diretto. Una zattera preziosa, in un mare di conformismo.

Antonio Mocciola

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