‘Noi’ e gli ‘altri’: riflessioni su “Utoya”, memoria e denuncia di una strage

In prima assoluta al Magnolfi di Prato uno spettacolo che strappa il velo di silenzio sull’attentato norvegese del 2011 e sulle sue profonde implicazioni.

Norvegia, 22 luglio 2011: alle 15:25 un’autobomba devasta il quartiere governativo di Olso provocando otto morti. Un’azione diversiva programmata con estrema lucidità, come si capirà troppo tardi. Il vero obiettivo dell’attentatore, Anders Behring Breivik, 32 anni, sono i 560 giovani laburisti in campeggio a Utøya. Il killer, armato e vestito da poliziotto, raggiunge l’isola alle 17:17 e inizia, incontrastato, una spietata caccia all’uomo che durerà 77 minuti. Moriranno 69 ragazzi, 110 resteranno feriti. I media avvalorano da subito la tesi della pista islamica. Ma già alle 22:45 viene annunciato l’arresto di un norvegese, simpatizzante dell’estrema destra europea e contrario alle politiche socialiste multirazziali e multiculturali. Le indagini lo riconosceranno come unico autore della strage. Intanto, nella memoria pubblica, cala un progressivo silenzio sugli avvenimenti di quella giornata. Più rassicurante, per le coscienze europee, etichettarla come isolato gesto di un folle piuttosto che interrogarsi sulle sconcertanti verità che il suo gesto svela. Una falsa sicurezza messa in discussione, per fortuna, dal libro di Luca Mariani “Il silenzio sugli innocenti”, vincitore per la saggistica del Premio Matteotti 2014, e ulteriormente minata da “Utoya”, andato in scena in prima assoluta al Teatro Magnolfi di Prato.

Utoya-4Memoria e denuncia di una tragedia, “Utoya” è una drammaturgia forte, diretta, che non permette distrazioni. La potremmo definire ‘a più mani’ perché risultato di una stretta collaborazione tra Edoardo Erba, Serena Sinigaglia, appena insignita del Premio Hystrio alla regia 2015, e due attori straordinari come Arianna Scommegna e Mattia Fabris. Crediamo che il successo dello spettacolo si debba anche e soprattutto alla loro profonda sintonia, grazie alla quale ogni elemento – parole, movimenti, uso delle luci – è perfettamente equilibrato e concorre a far nascere domande nella mente dello spettatore. Prima fra tutte: perché quelle vittime sono state dimenticate? Il racconto procede proponendoci un triplice punto di vista, quello di altrettante coppie sfiorate dalla tragedia: due genitori che hanno mandato la propria figlia in campeggio a Utøya, due poliziotti sulle rive del lago durante la strage, due fratelli vicini di casa dell’assassino. Va così sviluppandosi un labirinto che ci frastorna, perché ogni parola pronunciata sulla scena è uno spunto per nuove riflessioni. Una foresta di dubbi e domande che minano le nostre certezze e che lasciano intravedere nuovi sentieri di riflessione in cui avventurarsi sino a perdersi. È come se gli autori non volessero fornire facili soluzioni, ma far sì che ciascuno compia un proprio percorso, basato sulle sensibilità personali.

utoya-A moltiplicare all’infinito queste possibilità ci pensano le evocative scene di Maria Spazzi, con quei frammenti di specchio che ricoprono il palcoscenico e che richiamano alla mente alcune parole pronunciate da Adriano Sofri sugli attentati del 2011: «Ma può anche darsi che la Norvegia, così profondamente ferita, non abbia voglia di guardarsi fino in fondo nello specchio rovesciato dell’infamia del suo terrorista di buona famiglia. È la questione che sta al centro del processo che sta per concludersi a Oslo, cui ho assistito per alcuni giorni. Breivik – che è pazzo, e che non è affatto pazzo – appartiene anche alla genia degli sfregiatori: della bellezza, del lusso, della calma e del piacere» (da «La Repubblica» del 21 giugno 2012). Una Norvegia e, aggiungerei un’Europa, incapace di accettare che i mostri non siano gli ‘altri’ – gli islamici, gli immigrati, i terroristi, gli stranieri… – ma, come in questo caso, i ‘nostri’. Sottovalutando però il più vitale degli interrogativi: c’è in Europa una rete di estrema destra nazionalista, violenta e xenofoba, pronta a fare vittime innocenti, e che si diffonde anche grazie alle nostre paure?

Prato – TEATRO MAGNOLFI, 20 ottobre 2015

Lorena Vallieri

UTOYA un testo di Edoardo Erba con la consulenza di Luca Mariani, autore de “Il silenzio sugli innocenti”.

Regia: Serena Sinigaglia; scene: Maria Spazzi; produzione: Teatro Metastasio Stabile della Toscana in collaborazione con Teatro Ringhiera ATIR, con il patrocinio della Reale Ambasciata di Norvegia in Italia.

Interpreti: Arianna Scommegna, Mattia Fabris.

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