Mosca, un teatro tutto da scoprire

Un giro a volo d’uccello sull’offerta teatrale a Mosca.

La capitale russa ospita circa 380 teatri, fra pubblici e privati, studenteschi, per bambini, oltre a compagnie che portano le loro produzioni nelle case.

In pochi giorni di permanenza, a metà maggio, sono riuscito ad assistere a quattro spettacoli, diversi per tradizione, genere, impegno produttivo.

Ciò che colpisce del panorama teatrale moscovita, e credo lo qualifichi, è il continuo variare dell’offerta. Ogni teatro ha un suo repertorio che ripresenta, anche solo per un giorno, pure laddove l’impianto scenico è complesso, e il suo montaggio e smontaggio richieda tempo ed energie.

Il Teatro Puškin ha una struttura imponente e una storia complessa, che riflette il variare delle stagioni politiche. Nasce nel 1914 come Teatro da camera di Mosca, sotto la direzione del grande Aleksandr Jakovlevič Tairov che, dopo decenni di grande successo, alla fine degli anni Quaranta viene licenziato: la sua poetica non è coerente col realismo socialista ormai imperante. Il teatro assume il nome attuale nel ’50. Ospita un piccolo museo, tappezzato di immagini d’antan, che raccontano un secolo di teatro, non solo russo.

Ho avuto modo di affacciarmi anche dietro le quinte, ove ho visto montare una monumentale scenografia per l’Hedda Gabler, che sarebbe stata smontata il giorno successivo per un non meno impegnativo allestimento de L’anima buona di Sezuan, cui ho avuto modo di assistere.

Di quest’opera, la nuova traduzione e la regia di Jurij Butusov privilegiano il tema dell’amore rispetto a quello politico, che innerva il testo brechtiano. La prima, visibile libertà riguarda le tre divinità, interpretate da un’unica attrice, Anastasija Lebedeva, capelli platino rasati quasi a zero; nel corso dello spettacolo la ritroviamo, in tuta da operaio e basco, nei coretti accompagnati in scena da un valoroso quintetto strumentale. Il cast appare molto affiatato e di notevole professionalità: recita con piglio accattivante, canta e danza. La regia ricorre all’uso di microfoni, malgrado le ragguardevoli dimensioni del teatro, solo laddove lo richiedono specifiche scelte drammaturgiche. Fra gli interpreti da citare, oltre all’acquaiuolo Wang, la fascinosa, duttile Aleksandra Ursuljak, nei panni di Shen Te (e di Shui Ta), che canta con trasporto, nell’originale tedesco, le canzoni di Paul Dessau (sopratitolate in russo).

Il Moskovskij teatr junogo zritelja (Teatro di Mosca per il giovane spettatore) ha anch’esso una storia importante: nel 1920 è stato il primo teatro stabile sovietico per bambini, con spettacoli rappresentati anche in sedi diverse. Successivamente il suo repertorio va ampliandosi con spettacoli tratti da racconti di Čechov e Bulgakov.

La signora col cagnolino, per la regia di Kama Ginkas, del 2002, consegue l’anno successivo il prestigioso premio Zolotaja Maska, la Maschera d’Oro.

Il mio inveterato pregiudizio sulle trasposizioni sceniche di racconti čechoviani si è dissolto dopo pochi minuti. Intanto, per l’arditezza dell’utilizzo creativo e quasi ardito di uno spazio tradizionale: il pubblico è confinato in galleria e, ad altezza della balaustra si svolge l’azione scenica su un praticabile, dietro il quale si apre il vuoto dell’invisibile platea sottostante, e dal quale, nelle iniziali scene balneari, alcuni personaggi sbucano come dal mare, o vi si rituffano. Sullo sfondo, come sospese, le immagini stilizzate di due barchette. Quatto gli attori, inizialmente in goffi costumi da bagno a strisce, primo novecento. Nel ruolo dei protagonisti, la leggiadra, preraffaellita Marija Lugovaja e un autorevole, convincente Igor Gordin. Nella seconda parte, quando ritroviamo Anna Sergeevna e Gurov, ormai amanti e in abiti civili, gli altri due indosseranno marsina e bombetta direttamente sui costumi da bagno a righe, con un irresistibile effetto comico. Con una scelta drammaturgica che sembra volere sottolineare l’origine narrativa del testo, i due protagonisti, salvo nei dialoghi, parlano di sé in terza persona.

Teatro.doc mi è stato indicato come la più famosa, vivace ed amata realtà teatrale alternativa in Mosca. È un teatro indipendente, fondato nel 2002 da un gruppo di drammaturghi che proponevano forme che definiscono “teatro documentale”, poi “teatro dei testimoni”. I rapporti non sempre facili con l’autorità gli hanno consentito di avere una sede fissa solo nel 2015. Già il logo, scritto metà in cirillico (Театр), metà in lettere latine (doc), rivela una vocazione fra il trasgressivo e il beffardo, che prosegue nell’epigrafe “Un teatro dove non si recita”: un calambour che sfrutta il doppio significato (recitare e giocare) che la stessa parola ha in russo (come in inglese, tedesco, olandese, francese, …, non in italiano). Rivela una vocazione per l’attualità, per la denuncia, per il teatro sociale, realizzato secondo modalità di forte interazione col pubblico che, sotto certi aspetti, fa pensare al Teatro dell’oppresso di Augusto Boal. Fin dall’inizio il gruppo ha ospitato sulla scena figure non canoniche: studenti africani che raccontavano la loro vita a Mosca; ex deportati in Siberia; soggetti con sindrome di Down, impegnati come attori su testi di Gogol; rappresentanti delle cosiddette sottoculture (omosessuali, ex carcerati, lavoratori e lavoratrici provenienti dagli angoli più remoti della Federazione Russa).

Anche al Teatro.doc, di regola ogni sera si va in scena con uno spettacolo diverso, con un repertorio che riempie la programmazione di un intero mese.

Nella loro sede al numero 69 di Sadovičeskaja Naberežnaja, ho assistito a un lavoro dal titolo Vere storie di donne, uomini e dei, scritto e diretto da Elena Gremina, incentrato sul mito di Aracne, la tessitrice trasformata in ragno per la sua superbia. Ma l’elemento più singolare era costituito da Marina Kleščeva; ex carcerata di mezza età, figura imponente, occhi dal taglio tartaro, che nella colonia penale di Šachov annodava borse di rete. Grazie a una notevole presenza scenica, Marina restituiva il trasparente collegamento fra la leggenda greca e il suo proprio vissuto in carcere.

Lo spettacolo forse il più interessante sul piano della regia e della drammaturgia è Olimpija: l’ho visto al Centro Teatrale Mejerchol’d, presso l’annessa Scuola Studio, messo in scena dalla Jul’ansambl’ (Compagnia di luglio), diretta da Viktor Ryžakov (che esce dai lombi del già citato Ginka). Il nome del gruppo nasce dal fatto che i diplomati nell’estate del 2016 hanno deciso di non separarsi e creare una propria compagnia, particolarmente attenta alla drammaturgia contemporanea.

Il testo, scritto in sette giorni da Olja Muchina e con la regia di Pavel Danilov, offre una carrellata storica sull’Unione Sovietica – poi Russia – dal 1980, anno delle olimpiadi moscovite, fino ai giochi invernali di Soči del ’14, vissuta però attraverso la vita quotidiana di una normale famiglia e lo sguardo di un giovane, nato appunto nell’80. I ruoli sono dieci, compreso un cavallo, e all’inizio gli attori, una mezza dozzina, tutti in nero, si presentano con i nomi dei personaggi che interpreteranno. La struttura drammaturgica alterna dialoghi e momenti di narrazione, mentre sul fondale (la scena è larga ma poco

 

 profonda) si susseguono immagini che richiamano avvenimenti politici (l’invasione dell’Afghanistan) ed originali, suggestive creazioni di arte di strada, con una colonna sonora a volte in beffardo controtempo col contesto gestuale e figurativo. L’esplicito assunto dell’autrice è la rappresentazione di differenze e somiglianze fra la generazione dei ventenni di allora e quella dei giorni nostri.

 

Un panorama che, pur alla luce di questa limitata esperienza, rivela da un lato un’alta qualità professionale, sia nelle riproposte di testi classici, sia nelle novità; dall’altro un vitale impulso teso al rinnovamento e alla ricerca, che sa superare le difficoltà burocratiche e le pastoie politiche.

La qualità artistica dell’offerta teatrale, date le sue consolidate radici storiche, si suppone resista nel tempo; quanto alla spinta vitale, facciamo i debiti, solidali scongiuri per il futuro.

Un ringraziamento doveroso a Saša Nikitina, Tanja Jurova, Viktoria Lebedeva, Marina Dzeryba.

Claudio Facchinelli

Spettacoli visti a Mosca nel maggio 2019

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