Morte di Danton, un raro e mastodontico progetto

Un’operazione pachidermica avrà numerosi risvolti, in termini positivi e financo negativi. Morte di Danton è un progetto teatrale gigantesco e raro, dati i tempi. Ha meriti e difetti. Tra i primi quello di suscitare la discussione, animare pareri e pensieri ed anche quello di tenere agganciata l’attenzione, di lasciarsi sorbire. Ha temi urticanti per il contemporaneo, incanta e cattura nella successione di situazioni iterate e urlate, ma tant’è, c’est la révolution. Ieri e oggi, senza variazioni. Però, proprio questa ripetitività, sottolineata da recitazione monocorde, perché tendente ai toni alti e diseguale tra gli interpreti, appesantisce la scorrevolezza d’insieme. Forse meno rispetto del testo originale, magari un sano sfrondare, avrebbe giovato all’allestimento dell’unica tragedia completa di Georg Büchner, diretta da Mario Martone, prodotta dal Teatro Nazionale Stabile di Torino, in prima nazionale al Teatro Carignano il 9 febbraio 2016. Nella sua breve vita, l’intellettuale tedesco scrisse un capolavoro, Woyzeck, inteso, vivido, parlante a ogni epoca. Morte di Danton invece, che precedette di poco la morte prematura dell’autore, eccelso non è. E’ ricco di personaggi e vita, di accadimenti importanti, ma non ha le caratteristiche del capodopera letterario, è troppo verboso, volutamente sgraziato, privo di quel guizzo che inchioda nella memoria collettiva.02_Giuseppe Battiston_Paolo Pierobon_IMG_7699

La messinscena concertata da Martone è lussureggiante, di estrema eleganza i quattro sipari che riducono o allargano lo spazio scenico, strisciando taglienti sull’impiantito. Tutto sa di ghigliottina. E tutto sa di teoresi vuote, comiziali. Danton, critico del sistema del terrore, pur convito della bontà del governo repubblicano, dubita sui metodi e nel circostante parossismo, la sua incertezza si tramuta in colpa degna della pena capitale. L’antagonista è Robespierre, già sodale, l’anima nera della rivoluzione, algido e rigido, rifugge i piaceri, integro nella fermezza di un’idea che in un breve (e scenicamente efficace) momento, scricchiola; Robespiere s’arrovella, scoprendosi forse assetato di potere tout court e chiedendosi se non siano i suoi personali interessi a spingere Danton verso la ghigliottina.

Curiosa, nel precipitare della tragedia, la reazione degli spettatori. L’approccio ad un’opera, innervata di filosofia, è bizzarramente emotivo. Il pubblico ascolta e acclama le esternazioni di tutti preferendo, come dimostra l’intensità degli applausi, Robespierre, recitato da un preciso, solido e feroce Paolo Pierobon, rispetto all’inquieto, pensoso, più intimo Danton di Giuseppe Battiston. Tra i comprimari si segnalano, per adesione alle parti, pregne di vitalità, Denis Fasolo, Massimiliano Speziani, Paolo Graziosi, Vittorio Camarota e le donne, la giovane Beatrice Vecchione, Irene Petris e Iaia Forte, moglie di Danton, ruolo che concentra gli accenti di maggior affettuosità e dolore palpitante, di cui gronda la pièce.

Maura Sesia

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