Maria Paiato, intervista ad un’attrice antidiva ed artigiana

paiato_maria“Tra le parole, nelle parole, sotto le parole ci sono tanti altri significati, ed è bello giocare con loro come tanti acrobati. Ronconi è un maestro per questo ed è una persona meravigliosa, ti offre una decisa apertura mentale”.

La voce di Maria Paiato non tradisce mai la passione e l’energia che contraddistingue nel panorama teatrale italiano. Ama i personaggi forti,  estremi:  dopo Anna Cappelli di Annibale Ruccello,  ora è protagonista, della Medea di Seneca con la regia di Pierpaolo Sepe. Ha recitato con importanti registi, tra cui Luca Ronconi, Mauro Bolognini, Giancarlo Sepe, Maurizio Scaparro, Antonio Calenda, Nanni Loy, Roberto Guicciardini, Giampiero Cicciò, Valerio Binasco. Al cinema è stata diretta, tra gli altri, da Francesca Archibugi (Lezioni di volo, 2007) e Marco Martani (Cemento armato, 2007). È stata poi interprete. nel 2009, nel film della Comencini Lo spazio bianco. Ha lavorato nel film di Luca Guadagnino Io sono l’amore, al fianco di Tilda Swinton. Ha vinto numerosi premi tra cui il Premio Borgio Verezzi (1994), il Premio Flaiano (2001), il Premio Olimpici del Teatro (2004), la Maschera d’oro (2005), e due Premi Ubu (2005, 2006). Nel  2007 ha ricevuto il Premio Olimpici del Teatro per il monologo Un cuore semplice, nel 2009 il premio Eleonora Duse come migliore attrice per la stagione teatrale 2008-2009.

MEDEA - (ph Pino Le Pera)6D. Complimenti per la sua interpretazione di Medea, in scena, per la regia di Pierpaolo Sepe, nei giorni scorsi, al  Teatro Nuovo di Napoli: la sua Medea  è una furia dolorante. Davvero dai ruoli classici a quelli contemporanei  lei riesce a tratteggiare una figura femminile sempre così unica..

R. “Non lo so cosa accade in realtà. Penso che sia una cosa che fa parte di me, del mio carattere, della mia indole. Non riesco a mettere dei filtri, apro tutto di me, metto tutto di me in contatto con il personaggio. Lo faccio sul serio, soprattutto con questi personaggi dove all’interprete viene chiesto di immergersi nel dolore, nella rabbia. Non posso recitare in modo distaccato: o nel personaggio ci sto con tutte le scarpe oppure dovrei limitarmi a lavorare per accenni, e già so che non ci riuscirei mai. Io sono una che affronta  le cose, a cui piace acchiapparle tutte , senza trascurare nulla. Ecco, come le dicevo prima, se sono fatta così come potrei mai lavorare per accenni?”

D. E’ capace di maneggiare sul palcoscenico la solitudine profonda della vita che è presente anche in donnine qualunque, come in Anna Cappelli di Annibale Ruccello. Una interpretazione solenne di quel personaggio che alla fine giganteggia nella vita.

R. “Se lei mi sta chiedendo qual è il procedimento e il mio modo di avvicinarmi al personaggio, la risposta è la stessa di prima. Quel tipo di solitudine è già scritta, è stata già messa in luce dall’autore: io la faccio venire fuori, la trasmetto agli spettatori lavorando in grande sintonia con il regista Pierpaolo Sepe, che sa indicarmi strade che mi convincono, mi permette di percorrerle e dunque di scoprire sempre nuove possibilità. L’approccio al testo è molto serio, non sono una che ha bisogno di riproporre se stessa, mi interessa molto poco che appaia, che si veda Maria Paiato e che si riconosca. A me interessa che si veda il personaggio così com’è. Inevitabilmente ho il mio modo di recitare: cerco tutte le volte che sia un modo liquido, che mi fa entrare nei personaggi.”

D. Lei ha lavorato con tanti registi importanti, tra cui recentemente anche Ronconi nello spettacolo  “Panico” di Rafael Spregelburd, un autore contemporaneo. Un testo grottesco: come si è trovata?

R. “Grottesco e anche portatore di una modernità supereccitata, ipertesa. E ‘ stata una esperienza molto divertente: Ronconi è un regista che ti chiede di entrare nel suo mondo; bisogna adattarsi a quel linguaggio, accettare di diventare i loro strumenti, assecondarli. Pierpaolo, per esempio, ha delle idee chiare sulle cose, ti indica delle strade ma poi lasciandoti la libertà di percorrerle. Ronconi è il tipo di regista che ha chiarissimo tutto in mente, con lui fai un lavoro non solo sul personaggio ma anche sulla potenzialità e sulle infinite possibilità del testo.  Ci sono dunque delle strade indicate ma anche un lavoro capillare con la parola, sulla parola che riverbera, sugli agganci che la parola offre. E’ un vero lavoro sul testo ed è anche molto divertente. Un esercizio nutriente perché ti fa imparare. Ronconi sollecita e invita  a non trascurare nulla del testo, a non guardarlo solo con gli occhi bensì con una lente di ingrandimento. Tra le parole, nelle parole, sotto le parole ci sono tanti altri significati, ed è bello giocare con loro come tanti acrobati. Ronconi è un maestro per questo ed è una persona meravigliosa, ti offre una decisa apertura mentale”.

D. Lei passa dai ruoli teatrali a quelli cinematografici: trova che ci sia molta differenza? E quale forma artistica le è più congeniale?

R. “In questi anni di lavoro, mi sono resa conto che il nostro è veramente  un lavoro  artigianale. E’ un lavoro fatto di ispirazioni, di intuito, di allenamento, come un atleta, più ci si allena, più si fa,  più quel mezzo diventa familiare, più impari a gestirlo. Io credo di essere un tipo di attrice a cui il cinema non si mostra molto interessata. Ma quei pochi registi che mi hanno chiamato mi hanno offerto delle belle possibilità, come nel film “Io sono l’amore” di Luca Guadagnino dove avevo un ruolo che mi permetteva di osservare molto. Nel cinema devo riprendere coraggio: davanti la macchina da presa mi sento intimidita, devo reimparare un certo calibro di energia. E proprio perché siamo dei professionisti navigati poi ci vuole poco a riprendere disinvoltura, a sentirsi di nuovo a proprio agio. Il teatro invece richiede un apporto energetico, in alcuni momenti, come in questa Medea grandissima ma faticosissima… Scusi se ho divagato, ma era utile prima di rispondere alla sua domanda: mi è più congeniale il teatro perché lo conosco meglio, e perché si instaura un rapporto immediato con il pubblico”.

MEDEA - (ph Pino Le Pera)4D. Il pubblico napoletano le tributa applausi a scena aperta. La gratifica? O la intimidisce?.

R. “E’ una piazza importante, e tra i colleghi c’è questo timore… di arrivare a Napoli. E’ un pubblico che ha un suo gusto preciso, ma poi ti rendi conto che è anche un po’ una leggenda: fa paura come fa paura da altre parti. Napoli ha un suo carattere, una sua anima e ci sono circuiti dove si può portare Medea, come al Teatro Nuovo dove arriva un pubblico che, se anche non conosce il testo, cerca una programmazione di un certo tipo. Non è tanto diverso da altre parti, la pressione che si avverte non è tanta diversa da quella di Milano. Napoli è una città che richiede un forte impegno, non ti regala niente, starci dentro bisogna avere le spalle robuste. Una città a tratti anche aggressiva, violenta ma poi ti regala tanti momenti di calore di generosità. C’è questa contraddizione continua. Io poi che sono nata in un paesino lungo fiume Po  –  ed il luogo in cui sono nata mi ha veramente costruita- nella bassa padana tranquilla, silenziosa, sento che Napoli mi scuote. Dopo la piazza napoletana, volentieri mi immergo in un luogo più silenzioso”.

D. E dello stato attuale del teatro, cosa ne pensa, si può fare a meno dei finanziamenti pubblici, è sufficiente solo un tavolo ed una sedia? In Medea la scenografia conta molto..

R. “La scenografia conta e non si può sempre farne a meno. E’ vero che il teatro è un uomo che racconta davanti ad un altro uomo. Il nostro è un Paese che non considera la cultura, una cosa talmente grave che perfino una parola come cultura l’hanno fatta diventare un luogo comune di cui vergognarsi. Bisognerebbe trattare il teatro e le altre forme artistiche con un senso di rispetto maggiore e pensare che il teatro non è solo quello che recita ma è anche una possibilità di lavoro per i giovani, per i tecnici. Invece viene considerato invece come il momento di svago per cui si può trattare a pesci in faccia. Anche nelle scuole viene presentato come un momento ludico, invece il teatro è un bacino di lavoro, un mestiere importante. Servirebbe maggior cura e attenzione, come accade in altri Paesi. Da noi, invece, è l’ultima ruota del carro..”

D. Lei ha ricevuto tanti riconoscimenti. Sono davvero così importanti nella carriera di un’attrice?

R. “I riconoscimenti ti gratificano sempre, ho il sospetto che a volte i premi rappresentano una occasione per ritrovarsi, per dirsi come siamo bravi , per ricordare al pubblico che esistiamo e che esiste il teatro Se lo spettacolo vale e non riceve il premio, stia tranquilla che c’è sempre qualcuno che lo compra.”.

D. Ho notato anche in Medea che lei in scena con gli altri attori è generosa..

R. “Mi fa piacere che lo dica. E’ vero, non mi risparmio, non c’è motivo in cui io debba tutelare solo me, ogni sera con glia attori accade una piccolissima cosa differente, la noto io ma la notano anche gli altri. Con Max Malatesta, con Orlando Cinque, Giulia Galiani, Diego Sepe quando finisce lo spettacolo sono veramente tranquilla. Certo può capitare di fare delle sere uno spettacolo in cui non sei proprio in forma.. Qui al Nuovo è uno spazio adatto, più intimo, in cui non bisogna urlare. In altri teatri grandi può succedere che non sei in forma e devi inventarti un modo diverso per portare quella qualità di rabbia. Magari la fai arrivare con un gesto..”

D. Abbiamo inaugurato questo nuovo  sito corrierespettacolo.it ci saluti con un augurio… 

R. “Quello che dicono a noi quando si deve partire – che siamo spaventati di non ricordarci le battute – “merda in bocca al lupo. E come noi tenete botta..stringete i denti!”

Diletta Capissi

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