“Mancarsi” di Diego De Silva, due esistenze alla ricerca dell’amore

mancarsiMancarsi”: il nuovo libro di Diego De Silva 

Lo scrittore partenopeo racconta le storie di due esistenze che si sfiorano, senza mai toccarsi, entrambe alla ricerca del vero amore. 

Un libro da leggere tutto d’un fiato, anche perché si rimane legati ai due protagonisti fino alla fine, è come se si sentissero i loro respiri, i loro passi sulla strada. Si ha la sensazione di poterli vedere ogni giorno seduti al tavolo di quel bistrot dove non si incontreranno mai, o forse sì. Al successo di “Certi bambini” del napoletano Diego De Silva (testo del 2001, Premio selezione Campiello, divenuto poi un film nel 2004 con la regia di Andrea e Antonio Frazzi) ne sono seguiti altri come “Voglio guardare” (2002), “Da un’altra carne” (2004), “Non avevo capito niente” (2007, Premio Napoli; finalista premio Strega), “Mia suocera beve” (2010), “Sono contrario alle emozioni” (2011) e la pièce teatrale “Casa chiusa”, atto unico dello spettacolo “Tre terzi” scritto con Antonio Pascale e Valeria Parrella, diretto da Giuseppe Bertolucci e andato in scena al Teatro Mercadante di Napoli nella stagione 2007/2008. Di tutt’altro stile, ma comunque di alto valore, è il suo nuovo romanzo: “Mancarsi” edito nel 2013 dall’Einaudi. “Mancarsi” nel senso di sfiorarsi senza toccarsi, nel senso di non trovarsi. Se si incrociassero, forse, si amerebbero subito, l’uno riuscirebbe a comprendere l’altro al volo, senza tante spiegazioni da dare, perché è così che l’amore dovrebbe essere: un flusso di vita irrazionale e scorrevole. Diego De Silva riesce a raccontare in parallelo due magnifiche esistenze. Magnifiche perché reali. Ognuno potrebbe identificarsi nei due protagonisti, o nelle persone che sono loro vicine.

 

Chi di noi non ha provato la rabbia del “non detto” in un rapporto, il rimorso di non aver parlato e aver lasciato che tutto finisca così, in silenzio. L’orrore di sentire la perdita, nonostante chi è andato via era già perso da tempo; quell’effetto che la morte fa di “riabilitare” le persone, pensare che forse avresti dato loro un’altra possibilità e sapere che, in realtà, non è vero. Il bisogno del proprio spazio, di quel luogo dove ritornare ogni giorno, in cui tutto è sempre al suo posto ed è confortante. L’impulso ad agire senza troppi dubbi e ritrovarsi in una camera da letto con uno sconosciuto a cui non sai neanche cosa dire. O avere un blocco e ritrovarsi solo, a guardarsi intorno. È questo rispecchiarsi nel racconto di De Silva a renderlo così avvincente e in un certo senso consolatorio: allora è vero che non siamo i soli a sentirci così?

 

Irene, bella e decisa, è pronta a mollare suo marito quando si rende conto che il matrimonio sta per finire. Alla ricerca di una felicità tanto difficile da raggiungere quanto è semplice e banale. È una che si complica la vita con i ma e con i se, a volte sfuggendo per errore quella felicità che troppo desidera. Nicola è soffocato da un senso di colpa che non gli permette di vivere la sua libertà, conquistata già prima che sua (ex) moglie morisse. Ora che la sua assenza è diventata irreversibile, però, è insopportabilmente difficile da affrontare. Se fosse viva, forse, non l’avrebbe neanche più pensata. Sia Nicola che Irene sanno perfettamente come dovrebbe essere l’amore ideale. Ma la sua mancanza non permette loro di trovarlo, li distrae da tutto. La semplicità di questa “storia d’amore” sta nel quotidiano, nell’osservare queste due “anime in pena” deluse, insoddisfatte, ma in un certo senso positive. Sembra che in loro ci sia ancora la speranza in un domani migliore. È una solitudine tenue, luminosa, che può ancora trasformarsi in condivisione. Questo racconto non sarebbe tanto intenso se non fosse scritto con un linguaggio asciutto e toccante, in cui ogni frase è al proprio posto, come se fosse logica, naturale, e ti permette di scivolare in punta di piedi nella loro psiche, e anche nella tua.

Mariagiovanna Grifi

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