“Malagigio”, «sotto il cappello da buffone, c’è un uomo»

Nel piccolo anfiteatro di Villa Le Piazzole di Firenze, il nuovo spettacolo di Alessandro Riccio nei panni di un buffone di corte.

Ridere è quella capacità di alleviare, lenire e sopportare il dolore, è la risposta alla sofferenza, ai dispiaceri, ai supplizi inflitti dalla vita. Ma se le circostanze non ci permettono di farlo, abbiamo bisogno di qualcosa – o qualcuno – che stimoli quel naturale rilascio di endorfine in grado di alleviare tristezza e malinconia. Nel Medioevo, alle corti dei signori più abbienti, il giullare metteva in scena situazioni bizzarre e comici lazzi per divertire i suoi padroni i quali, in cambio di questo -indotto ma indispensabile – momento di diletto, gli offrivano un tetto, qualche avanzo con cui sfamarsi e, nella migliore delle ipotesi, anche qualche manciata di monete d’oro.

Lo spettacolo di Alessandro Riccio presentato negli spazi di Villa Le Piazzole di Firenze, ci riporta proprio ai momenti in cui questi professionisti della parola e della mimica offrivano una forma d’intrattenimento al Signore, suo padrone. “Malagigio” – di cui l’omonimo spettacolo scritto e diretto dallo stesso protagonista – è un giullare dal volto e dal corpo deforme, con un braccio più corto dell’altro e una gobba «portafortuna» che lo rende brutto e sgraziato. Egli, per la sua dispotica padrona (interpretata da Vania Rotondi), non è altro che una «bestia», un «verme della terra», essere che «non vale più di uno battito di mani». Riccio è stato attentissimo alle caratteristiche e ai dettagli del personaggio, ha costruito il suo Malagigio non solo rappresentandolo, ma diventando l’«essere multiplo […] addetto ai piaceri del re e principi, […] che fa lo scemo e che dice scempiaggini» rubando la definizione che Edmond Faral diede del buffone di corte nel suo “ Les jongleurs en France au Moyen Age”.

Riconoscibile fin dalle vesti, oltre che dall’aspetto, Malagigio: dalle braghe strette al copricapo “dello sciocco” a tre punte, dai piccoli cimeli attaccati in vita come campanelli, fino al “gingillo”, il tipico scettro con la testa scolpita. Il nostro buffone di corte deve rallegrare l’animo della sua padrona rimasta vedova, ormai incapace di ridere vivendo al limite tra l’angoscia della perdita e la noia di una vita sempre uguale a se stessa. Malagigio non è più in grado di riuscire nel suo unico intento come un tempo; i suoi lazzi, anziché diletto, generano solo continui sbadigli e senso d’irritazione nella sua padrona che lo insulta scaricando su di lui una sorta di rabbia repressa. Quell’essere storpio e deforme prende le offese, gli insulti e le provocazioni non come un’umiliazione ma quasi come lo stimolo per continuare a fare dell’ironia con una strizzata d’occhio allo spettatore che diventa l’unico suo vero complice.

Questa è la routine della casa fino a quando, un giorno, arriva un giovane aitante vestito di stracci: Alessandro Scaretti interpreta Lucio, un ragazzo disposto a tutto pur di mettere qualcosa sotto i denti. Abile con le parole, raggira le uniche due persone presenti in quella corte solo dopo aver individuato i piccoli dolori con cui ognuno di loro ha imparato a convivere. La duchessa, nonostante pianga la perdita del consorte, ha passato la propria esistenza sottomessa alle scelte che gli altri hanno sempre preso per lei (il marito, il duca di Mantova, la società in generale), senza aver mai avuto la possibilità di opporsi a quello che non considerava “giusto”. Malagigio, nonostante sia autore e attore delle proprie storie con le quali può permettersi anche di lanciare pungenti sarcasmi, resta condannato ai margini di una società che lo disprezza e lo considera un non-essere umano. Egli non ha possibilità alcuna né di cambiare il proprio destino né di far credere che sotto quella maschera da sbruffone e imitatore, esiste un uomo «seppur col cervello tutto contorto».

Entrambi sono assoggettati alla volontà, alle scelte, ai desideri e i bisogni di qualcun altro collocato, per Natura, al di sopra di loro. In questo caso non importa quale gradino della scala sociale occupino, perché si tratta comunque di un destino subordinato da un volere “dall’alto”, immutabile e dal quale non possono fuggire. Eccoli i punti nei quali va a mettere il dito il ragazzo calcolatore: il far credere tanto al buffone quanto alla nobildonna d’avere, attraverso di lui, una possibilità di riscatto, a Malagigio di poter diventare padrone e alla duchessa di poter scegliere in autonomia il proprio futuro. Lucio si conquista così il proprio posto nel mondo, un posto da «menestrello, cantore, trovatore» col nome di Dolcebene e inizia ad accumulare denaro, stima e fortuna, anche se a carissimo prezzo. Le fasulle intenzioni e le ingannevoli gesta che solo apparentemente lo rendono astuto e scaltro, lo conducono a una finale diverso da quello che aveva tacitamente immaginato e diventano, al contrario, più che l’origine della felicità, la causa della sua stessa fine.

“Malagigio” è uno spettacolo tutto da ridere anche se porta con sé un senso etico che non può far trionfare i cattivi. Lo spettatore si affeziona a quel buffone, ride delle sue battute al contrario dell’imperiosa padrona, tifa per lui quando a maltrattarlo è anche l’ultimo degli umili che si arroga il diritto di ingannarlo. Malagigio trionfa per la sua lealtà, perché comprende da vinto – ma come un vincitore – che ha più senso adattarsi al proprio destino che sovvertire un ordine di cui non deteniamo alcun potere.

Bellissimo il luogo scelto per questa rappresentazione: un piccolo anfiteatro a cui si accede dal giardino all’italiana della Villa Le Piazzole, quasi in un’ulteriore ricollocazione storica della vicenda da presentare. Prima di sedersi e assistere alla rappresentazione si percorrono gli spazi che conducono a quell’angolo nascosto dove è stato allestito il nuovo spettacolo di Riccio che fanno tornare alle mente le parole del Boccaccio nella Terza giornata del Decamerone: «fattosi aprire un giardino che di costa era al palagio, in quello, che tutto era da torno murato, se n’entrarono; e parendo loro nella prima entrata di maravigliosa bellezza tutto insieme, più attentamente le parti di quello cominciarono a riguardare. Esso avea dintorno da sé e per lo mezzo in assai parti vie ampissime, tutte diritte come strale e coperte di pergolati di viti».

Firenze – VILLA LE PIAZZOLE, 5 luglio 2017

Laura Sciortino

 

MALAGIGIOscritto e diretto da: Alessandro Riccio; con: Alessandro Riccio, Alessandro Scaretti, Vania Rotondi; costumi: Daniela Ortolani; luci: Lorenzo Girolami.

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