Magnificat, il verbo incarnato di Alda Merini

Qualche volta, per cercar di spiegare a un pubblico di neofiti il senso più autentico e profondo del teatro, mi è capitato di far ricorso all’espressione biblica del verbo incarnato. Quel sacrale ossimoro emerge con naturalezza alla mente assistendo a Magnificat, tratto dal poema di Alda Merini.

Di Arianna Scommegna conosciamo la prodigiosa duttilità interpretativa, la capacità di modulare, con quasi impercettibili variazioni espressive, i minimi scarti psicologici dei personaggi cui aderisce: qui una Vergine Maria, prima sconcertata adolescente, poi donna matura, che parla a Dio in modo diretto, addirittura dialetticamente aggressivo, secondo modalità più vicine alla tradizione ebraica che a quella cristiana (pensiamo a Jossl Rakover si rivolge a Dio, di Zvi Kolitz).

_mg_7752Il testo della Merini trasuda una sua feroce carnalità, che Arianna riesce a restituirci fin dal suo entrare in scena a piedi nudi, dalla suggestione figurativa delle spalle e le braccia scoperte.

Al conturbante fascino di questo spettacolo contribuiscono, oltre al talento di Arianna, un insieme di elementi orchestrati con mano felice dal regista Paolo Bignamini, che trasformano un’opera poetica, nata per vivere sulla pagina, in un pezzo di vero teatro.

La giovane Giulia Bertasi non è solo una musicista di talento, che esegue del vivo le musiche di penetrante impatto emotivo da lei stessa composte, ora simili a sommessi sospiri, ora a strazianti lamenti. La sua presenza scenica, la figura androgina e apparentemente fragile, che abbraccia con sensuale trasporto l’ingombrante fisarmonica a bottoni, si pone come discreto ma essenziale contraltare all’appassionata parola di poesia affidata ad Arianna, quasi un muto coro di tragedia greca. In tal modo anche i frequenti silenzi che punteggiano l’azione acquistano densità e consistenza drammaturgica nello scambio di sguardi; nell’attenta, partecipe, complice attenzione con cui Giulia segue ogni parola, ogni gesto di Arianna. Un affiatamento forse maturato nella comune esperienza della messa in scena, pochi anni fa, di altro testo ugualmente intriso di una densa, religiosa carnalità: Mater strangosciàs di Giovanni Testori.

Buona ultima, da citare la raffinata partitura delle luci, progettata da Fabrizio Visconti, ora con eleganti controluce, ora con fascinosi giochi cromatici, che esaltano la scarna scenografia ed accarezzano sia le due fascinose presenze femminili.

Claudio Facchinelli

 

Magnificat

di Alda Merini

adattamento Gabriele Allevi

con Arianna Scommegna

e con Giulia Bertasi alla fisarmonica

regia Paolo Bignamini

disegno luci Fabrizio Visconti

produzione Teatro de Gli Incamminati – deSidera Teatro

in collaborazione con ScenAperta Altomilanese Teatri e ATIR Teatro Ringhiera

visto il 22 dicembre al Teatro Ringhiera di Milano

 

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