“Lo cunto de’la scortecata” diretto da Longobardi
La fede e il sogno salvano, l’invidia scarnifica

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La carne la morte il diavolo’, verrebbe da dire con un celeberrimo titolo del grande anglista Mario Praz, guardando alla natura crudele che sta nel fondo della saggezza popolare che trasmigra nelle favole medievali, nei proverbi, e nel carnevalesco che vita e morte, riso e orrore, manda a nozze nelle opere dei grandi che la sanno cogliere, che siano Shakespeare, Rabelais, Giambattista Basile. Un contatto che la letteratura, dopo il ‘500-‘600, ha un po’ smarrito, slittando sulla monotonalità dei generi.

E’ per questo che il boccaccesco del napoletano ‘Cunto de li cunti’ (1634) di Basile, dopo secoli, continua ad attirare registi e pubblico. Nel cinema, con Rosi (1967) e Garrone (2015), e a teatro, con De Simone (1976) e Emma Dante (2017).

La versione di Emma Dante (‘La scortecata’ – 2017) – gestuale melanconica tenebrosa – insiste sulla crudeltà, sulla poesia tragica. Qui Longobardi e i suoi attori scelgono una linea alla De Simone, ma puntando più sulla farsa fiabesca che sullo scatenamento, se si escludono gli intermezzi che scandiscono i quadri scenici con moderate tammuriate.

Ma facciamo mente locale. Di che si parla ? La trama è semplice.

Due vecchie brutte e lamentose – sorelle e zitelle – vivono sotto il palazzo del re. Si lamentano delle cose che cadono in cortile dal palazzo, e sentendole il giovane re si innamora, credendole belle e sensibili. Loro stanno al gioco e fingono pudore. Vedrà solo un dito. Poi una di loro verrà a palazzo, ma al buio. Ma poi … tutto viene a galla, e va bene e male, tra comiche e tragedia.

Emma Dante – parlando della propria messinscena – sottolineava come la vecchiaia che aborre se stessa e sogna nuova giovinezza e amore non sia ridicola, ma poetica e comprensibile. Vero. Vero e falso, e tragico non stare al limite, come ben indica il ‘Faust’ goethiano. Ma Faust cerca l’amore, come Cenerentola. Cosa cercano le vecchie ? Sono due zitelle. E sono mai state belle ? E sognano l’amore ? Dai dialoghi – in chiave più bassa e popolare – sognano il matrimonio, e il sesso, a cui continuamente si allude con doppi sensi scurrili.

Incontreremo un principe con la SPADA di fuori ? “ – “Il principe non vede l’ora di ARARE i campi dell’amore”

Siamo più sul versante delle sorellastre di Cenerentola, che della povera fanciulla. Sesso, posizione, potere, le stesse coordinate che in Shakespeare diventano dark, tragiche, violente. E il corollario sono invidia, sangue, morte.

E qui il popolaresco si intreccia buffonescamente al crudele, in chiave fintamente fiabesca. La notte di nozze svela l’orrore fisico della beffa, e il principe scaraventa la sposa dalla finestra. Crudeltà della stupidità. Ma la vecchia appesa all’albero fa ridere una fata, che felice della novità la trasforma in una giovane bellezza. Un po’ diverso dalla fata di Cenerentola, e sotto la magia del riso. Perché non ci sono né una vera Cenerentola, né vere sorellastre. La verità sta nel suo doppio. Ciascuna delle sorelle potrebbe essere l’altra. A turno sognatrice ritrosa o invidiosa faccendiera. La sorella invidiosa comunque fa il suo, e vuole sapere il trucco. Le si dice che si deve scorticare. Lo fa, e muore. Crudeltà e stupidità al loro vertice. Un vero teatro dell’assurdo in salsa popolare.

Certo. L’invidia. La droga del potere in Macbeth. La dannazione più profonda in Dante. Il motore delle fantasie psicotiche più terrificanti nell’infante della dark lady della psicanalisi, Melanie Klein. E contro l’invidia e il malocchio il popolo ricorre alle maghe.

Ma qui ? Beffa boccaccesca e controbeffa.

Eppure … Certo la vecchiaia è una brutta malattia, come diceva Leopardi, e muore giovane colui che al cielo è caro, salvandosi dall’orrore della carne e dei sogni che avvizziscono. La vecchiaia è umiliazione. Ma sognano le vecchie, o solo hanno perso l’occasione del piacere, quella che la modernità vuole eternizzare ? Insomma … se il giovane sapesse, se il vecchio potesse.

Il vecchio, se non sa essere poetico, non può che essere ridicolo, o al massimo, con un briciolo di tolleranza sorridente, patetico.

Queste vecchie non arrivano all’amore. Sono solo ridicole.

Eppure un piccolo fremito scuote la prescelta. Più narcisismo che vero sogno d’amore. Ma soffre nella tentazione, e tocca la fragilità. Tenta di resistere con bisbetico realismo. Poi è preda della vergogna, del pudore, di una tremante insicurezza. Anche se certo non è generosa. E in fondo tra fratelli e sorelle, come insegna la Bibbia, ci si uccide. E’ infatti lei col suo stizzito imbroglio, a portare la stupida sorella alla morte. Le famiglie sono un inferno, ma certo la stupidità uccide ancor più.

Ma veniamo allo spettacolo, andato in scena al Teatro Lo Spazio di Roma.

La scena centrale, frontale è il luogo della farsa. Poi, a lato del pubblico, a destra, c’è un altro palco, dove su un trono floreale una abile e suadente dicitrice – una bravissima Giuliana Adezio – fa da narratrice, cucendo gli episodi. Nelle retrovie del palco di destra infine, dietro al pubblico, si muovono percussionisti che scandiscono con tammuriate ironiche e festose, a suon di percussioni.

La scena centrale è semplice. Uno telo-schermo, talora bianco, talora base su cui si proiettano quadri fiabeschi a colori, nello stile dei disegni di Luzzati. In alto, a sinistra, in una nicchia sopra una tenda, Rosa Inserra (e quindi una donna, con l’inversione dei sessi tipica del teatro antico), recita il principino, giovinetto isterico e viziato, enfatico ‘amoroso’ da commedia dell’arte, sospira e declama, con voce volutamente affettata.

Sul palco troneggiano e recitano, borbottano e snocciolano gag – con fine comicità tra film muto e gestualità in maschera napoletana – le due protagoniste, le sorelle. La futura invidiosa (Vincenzo Longobardi), e factotum della beffa, alta e magra, ipercinetica nelle maschere facciali e nei toni vocali, e con abili stop motion. E la sorella fortunata – più corposa – un abilissimo Mauro Toscanelli, bisbetico, ritroso, borbottone, affaticato, perplesso, tentato, irascibile. Poi civettone e sognatore. Ma soprattutto esilarante nel fare la vecchia. Una vera vecchia, nel corpo, nelle mosse, nei modi. Un vero ‘carattere’, molieriano, a cui la sorella allampanata fa da appoggio comico, ma meno realistico. Lui è comico, ma anche sottilmente patetico. Una per tutte, quando, dopo che la ‘capera’ – cioè la acconciatrice per le nozze (un abile Orazio Rotolo Schifone – perché come tradizione le donne sono fatte principalmente da attori maschi) – dopo che lo ha racconciato, annodandogli sulla schiena la pelle cadente (la guallera, con allusione sessuale ad altri ‘pendenti’), gli fa scendere le scale verso la platea, a mimare il percorso a palazzo. Toscanelli borbotta con ansia stizzita che stia attenta a non farlo cadere. Certo, ora comicamente cammina irrigidito dalla pelle tirata dietro. Ma è anche una vecchia ansiosa, che tramuta l’ansia in irritazione.

Le gag sono il filo principale dello spettacolo, che decisamente ha scelto la nota comica, e si susseguono a getto continuo, strappando più di una risata, e ritmo e gestualità sono perfetti. Ma il tragico e la tristezza sono esorcizzati da questa regia nel modo più totale. Giusto Toscanelli, come dicevo, riesce a ricavare al personaggio alcuni sottotoni realistici, e quindi in fondo a dipingere una sia pur ridicola fragilità della persona.

Ma crudeltà no. Caso mai stupidità e beffa. Irrisione. Persino quando la sorella si fa scorticare, non c’è dolore. La pelle tolta è mimata con una lenta svestizione, e solo all’ultimo la vittima cade a terra. Ma senza tragico, anzi, con subito esplodere di tammurriata, come se la ritualità popolare nello scatenamento volesse cancellare la riflessione. Gli altri attori ? Professionali, e fanno bene la loro parte, ma con poco spazio per grandi performances.

Insomma, un concerto comico ben scandito, che suscita costante ilarità nel pubblico, e grande meritato applauso.

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Scheda tecnica

Lo cunto de’ la scortecata’, da ‘Lo cunto de li cunti’, di G.Basile

Regia – Vincenzo Longobardi

Con Vincenzo Longobardi, Mauro Toscanelli, Orazio Rotolo Schifone,

Giuliana Adezio, Maila Barchiesi, Stefania Venettoni,Carmela Rossi, Rosa Inserra,

Giampiero Masala, Aldo Ancona, Grazia Barbero, Bianca Salvati,

Raffaella Moschella, Ornella Laurenzano,

Luci e suoni – Barbara Cadoni

Costumi – Sorelle Abagnale

Immagini fondale – Emanuele Luzzati

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