Le stanze delle muse. Dipinti barocchi dalla collezione di Francesco Molinari Pradelli

Agli Uffizi musica e pittura rendono omaggio al celebre direttore d’orchestra e collezionista bolognese.

molinari scan1 3FIRENZE Francesco Molinari Pradelli (Bologna 1911-1996) fu un acclamato direttore d’orchestra di fama internazionale, nonché un sapiente collezionista d’arte. Due aspetti a cui è dedicata la mostra in corso alla Galleria degli Uffizi di Firenze: “Le stanze delle muse. Dipinti dalla collezione di Francesco Molinari Pradelli”. Un’accurata selezione di cento dipinti tra gli oltre duecento raccolti dal maestro bolognese e che ancora impreziosiscono le pareti della villa di famiglia a Marano di Castenaso. Una collezione che è andata formandosi a partire dagli anni Cinquanta del Novecento e che da allora ha suscitato ininterrottamente l’ammirazione dei maggiori storici dell’arte, italiani e non solo.

Tra i capolavori esposti spicca il folto gruppo delle nature morte che ha reso universalmente nota la collezione. Un soggetto a cui Molinari Pradelli si era dedicato precocemente, anticipando perfino la celebre mostra napoletana del 1964, che consacrò il successo critico e collezionistico del genere. Mostra cui, per altro, il nostro aveva concorso con ben tredici tele. Tra questi due piccoli gioielli, due ‘dispense’ o ‘cucine’ – come si definiscono quelle pitture che esibiscono rassegne di caccia, pollami e verdure – di Jacopo da Empoli; ma anche lavori di Luca Forte, Giuseppe Recco, CristoforoFig 30
Munari, Arcangelo Resani e Carlo Magini. Artisti spesso trascurati, ma alla cui rivalutazione il direttore bolognese contribuì attivamente. Infatti, come qualsiasi amatore intelligente e culturalmente elegante dovrebbe fare, Molinari Pradelli dimostrò sempre indipendenza di giudizio, rivelando un totale disinteressamento per le mode o i pareri degli storici e dei critici. I suoi acquisti erano indirizzati verso opere che gli fossero congeniali e la scelta dei quadri rispondeva al suo ideale del bello e non a sterili logiche di mercato.

Lo conferma l’assoluta predilezione che egli ebbe per la pittura del Seicento e del Settecento, precorrendo, anche in questo campo, la riscoperta dell’arte barocca, all’epoca ancora non apprezzata. Al punto che la storica Mina Gregori, che conobbe e frequentò a lungo il musicista, non ha esitato a individuare in lui uno dei capiscuola della nuova schiera di collezionisti poi chiamati “Secentisti”. La sua raccolta documenta senza eccezione le diverse e articolate manifestazioni della pittura italiana dell’epoca, tra Naturalismo, Classicismo, Barocco e Rococò. E se prevalenti sono i dipinti di figura di area emiliana e napoletana, non mancano capolavori di pittori veneti, liguri, lombardi  e romani. Impossibile evocarli tutti, ma vale la pena rammentare almeno  l’“Apoteosi di un Santo” e la “Sacra famiglia con Sant’Anna” di Sebastiano Ricci; o ancora, il dolente “Ratto d’Europa” del Cagnacci, al colmo dell’espressività melodrammatica e della sensualità carnale; infine, i tre capolavori di Luca Giordano: “Socrate vessato da Santippe”, “Maria Vergine annunciata” e “Angelo Annunciante”.

Inedita anche l’attenzione ai bozzetti e ai modelletti. Si resta colpiti dalla folta presenza di quadri di piccole dimensioni nei quali si concentrano composizioni complesse, ricche di personaggi, che svolgono soggetti di storia o presentano scene sacre. Invenzioni ambiziose che sottendono, quando non dichiarano apertamente, la funzione progettuale e la loro successiva traduzione su vaste tele o superfici murarie. Un esempio per tutti la piccola tavola con “Trasporto di Cristo al Sepolcro” di Giulio Cesare Procaccini.

L’occasione offerta dagli Uffizi è dunque imperdibile, e non solo perché permette di fruire opere d’arte normalmente non disponibili al pubblico, ma anche per meglio conoscere e apprezzare un rappresentante culturale del nostro Novecento. È infatti merito del curatore, Angelo Mazza, impegnato in più di una circostanza nello studio della collezione bolognese, quello di essersi opportunamente soffermato a raccontare anche il personaggio illustre, l’autore di quell’insieme di opere. Viene così data voce ai protagonisti della critica d’arte a lui contemporanea, unanimemente concordi nel riconoscere a Molinari Pradelli il ruolo di intenditore. Lo attesta la fitta corrispondenza – in parte esposta – con Federico Zeri, Roberto Longhi, Giuliano Briganti, Robert Engass, per citare i più noti. E nessuno di loro esitò nel confrontarsi con il direttore, da pari a pari, su ipotesi attributive e giudizi di valore.

Sono poi stati ricostruiti, anche attraverso restituzioni fotografiche a grandezza naturale, alcuni degli ambienti della Villa a Marano di Castenaso: il salotto – con gli arredi originali e il pianoforte che amava suonare ­– il moderno mobile con gli spartiti, la camera da letto, la sala da pranzo con il camino cinquecentesco. In altre parole, quelle “stanze delle muse” che sin dal titolo i curatori hanno voluto evocare: luoghi «abitati dalla poesia che, in questo frangente, trova espressione nella pittura e nella musica» (Antonio Natali).

Infine, è stata posta una lente di ingrandimento sul lungo e fruttuoso rapporto che Molinari Pradelli intrattenne con Firenze, anche grazie all’assidua presenza sul palcoscenico del Teatro Comunale e al Maggio Musicale Fiorentino. Registrazioni sonore, filmanti originali e bozzetti di scena fanno rivivere ‘sensorialmente’ la sua attività musicale nel capoluogo toscano dove, dal 1942, diresse una decina di concerti sinfonici di sicuro successo, con brani da Beethoven, Rossini, Brahms, Caikovskij e Wagner; mentre risale alla stagione lirica invernale 1964-1965 la prima direzione di un’opera: la “Forza del destino” di Giuseppe Verdi, cui seguirono il moderno recupero di “Maria Stuarda” di Donizetti (1967), “Carmen” (1968) e “Lohengrin” (1971).

Ad arricchire la mostra anche una sezione cinematografica, a cura del regista Pupi Avati  che evoca la Bologna del tempo del grande maestro e collezionista, che Avati ricorda di aver incontrato nella sua infanzia in più occasioni e con emozione poiché suo padre Angelo Avati era rinomato antiquario e collezionista d’arte in città.

Lorena Vallieri

 

Le stanze delle muse. Dipinti barocchi dalle collezioni di Francesco Molinari Pradelli
Firenze, Galleria degli Uffizi, 11 febbraio – 11 maggio 2014

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