“L’armata dei sonnambuli”, Pino Carbone e Linda Dalisi
Tra rivoluzioni antiche e moderne

“Ancora un inizio, per favore”. E’ questa una delle esclamazioni più emozionanti de “L’armata dei sonnambuli”, andata in scena al Nuovo Teatro Nuovo per la regia di Pino Carbone, su progetto di Andrea de Goyzueta e drammaturgia di Linda Dalisi. Non è teatro per tutti, a scanso di equivoci. Il gioco si fa duro, e i duri iniziano a giocare. L’inchino al pubblico per ringraziare avviene all’inizio, e non alla fine. Gli attori vestono anti-estetiche mutande (e panciere), e si vestono alla fine. I tempi si serrano e si slabbrano che è un piacere, e le colte citazioni possono pure non essere colte (nel senso di comprese). Eppure, il best-seller del collettivo Wu-Mung trova dolce asilo sul palco dello storico teatro dei Quartieri, grazie alla sensibile penna della Dalisi, agli ottimi interpreti e alla regia arrembante di Pino Carbone, ricca di idee e di spunti da approfondire. A partire dall’enorme testa decapitata di re Luigi XVI, che campeggia sul praticabile (che bravo Luca Carbone), e che subito fa piombare l’attenzione sugli anni del Terrore in Francia (1792-94), laddove è ambientato il romanzo storico, pubblicato in Italia da Einaudi. Cambiare il mondo, eterno leit-motiv, non è solo uno slogan, o una pia speranza. Qui diventa drammaturgia contemporanea, sberleffo di gesto e parola, ironia raggelata (e raggelante). In 90 minuti, un bignami di tanti temi (il presente, il passato, il femminismo, la caducità dell’essere attore, la malattia mentale) gridata e sussurrata con piglio straniante da Michelangelo Dalisi, Andrea de Goyzueta, Francesca De Nicolais, Renato De Simone e Rosario Giglio, (s)vestiti con estro e coerenza da Annamaria Morelli, in una cornice musicale assassina creata da Fabrizio Elvetico e Marco Messina. Si resta un po’ intontiti, e questo é bene. Perché poi c’è la scossa. Di sonnambuli, nella vita reale, ce ne sono pure troppi.

Antonio Mocciola

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