“La trilogia dell’indignazione”, al Piccolo Bellini
le sferzate sorridenti di Giovanni Meola

Un testo come “Trilogia dell’indignazione” di Esteve Soler non poteva non ingolosire Giovanni Meola, pregno com’è di black humour, dissacrazione di ogni liturgia e spericolate inversioni comiche. E così, uno dei registi più rigorosi e coerenti del nostro panorama artistico fonde la propria visione con quella dell’autore catalano, allestendo il suo carillon dark incastonato nelle lucide scene di Flaviano Barberisi e negli smaglianti costumi di Marina Mango.

Rispetto al debutto al Napoli Teatro Festival del 2018, sale in corsa Vincenzo Coppola, nell’unico ruolo maschile, affiancandosi a Sara Missaglia, Roberta Astuti e Chiara Vitiello. E’ il Piccolo Bellini, stracolmo ogni sera, ad accogliere questa godibilissima reprise, in cui nei meccanismi oliati a perfezione di parole tagliate col cesello ed ipnotiche prossemiche, i quattro interpreti sono squisitamente a proprio agio. Ma nelle trappole infernali delle facili letture, si nascondono schegge di pietas e di umana compassione, anche nell’ultimo, feroce, quadro dei sette totali.

Ogni attore riesce a ritagliarsi la propria dimensione: dal viso che disegna mondi di Sara Missaglia all’inquieta eleganza di Roberta Astuti, dai movimenti spiazzanti di una sempre più brava Chiara Vitiello agli agilissimi cambi di registro di un Vincenzo Coppola perfettamente calato nello spirito del testo.

Sotto l’algida forma del tutto, arde il fuoco – appunto – dell’indignazione. La società messa alla sbarra rifulge sorridente e ottusa, come le maschere che Meola scaraventa in scena, in cerca di sorrisi – e infatti chi vuole può trarne anche puro godimento – ma anche di spunti amarissimi.

Tra le maglie della gabbia-castello-casa-bara, giace senza più fili il burattino umano. Quel che resta, appartiene solo alla nostra, eventuale, coscienza.

Antonio Mocciola

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