“Pelle di seta” nella Stazione della Memoria

Frammenti dalla memoria metropolitana di una vita esclusa: ecco come potremmo riassumere il tema dell’ultimo lavoro di Fortunato Calvino, Pelle di Seta, in cui il drammaturgo e regista partenopeo recupera il ricordo di un femminiello napoletano che, fino a qualche anno fa, era possibile incontrare nei pressi della Stazione Centrale in Piazza Garibaldi a Napoli.
Il testo, interpretato con apprezzabile coinvolgimento emotivo da Massimo Finelli, ci parla innanzitutto della suggestiva dialettica tra esperienza di contaminazione, inevitabile in contesti fisiologicamente promiscui come le stazioni, e modelli antropologico-culturali in via d’estinzione, come i femminielli.
Una dialettica che non conduce mai ad una violenta contrapposizione tra diverse forme dell’umanità quanto in soluzioni alternative di convivenza e rimescolazioni corporee ed affettive.
Il miracolo delle vite liminali, d’altronde, è questo. La ridefinizione dei perimetri comportamentali e relazionali che segue, nel personaggio di Pelle di Seta, la ridefinizione dei perimetri identitari. Un lavoro di scoperta e di ri-creazione, la tensione quotidiana di una ri-nascita continua, tensione che Pelle di Seta restituisce allo spettatore, grazie ad un osservatorio privilegiato, quello del via vai della stazione, epicentro dinamico di un’umanità che si svela e si dà senza troppe congetture (foss’anche tra il piscio e i miasmi di vecchie latrine e sottopassi senza luce).
C’è qualcosa di romantico e di struggente in questo personaggio di confine, il cui dramma non risiede affatto nella sua condizione di femminiello quanto nella collisione generazionale di cui il tempo lo rende testimone. Pelle di Seta non soffre per quel che è, il suo profilo esistenziale è felicemente risolto, soffre invece per i modi barbari che osserva nelle persone che incontra, soffre per la solitudine a cui è costretta non dalla sua natura quanto dall’avvento delle tecnologie, delle chat, dall’imperversare di strategie di conoscenza e contatto che non prevedono più l’incontro furtivo e clandestino tra orinatoi e binari morti.
Ecco, rispetto agli altri personaggi di questa riuscita pièce di Fortunato Calvino, tutte declinazioni di una stessa isterica vocazione ad adattarsi, l’unica vera eroina che tenta una pur fragile resistenza alla normalizzazione inevitabile di abitudini e costumi, è Pelle di Seta che osserva il mondo cambiare intorno a sé ma non si arrende. Non si arrende e vuole sopravvivere. Non si arrende e non permette, nonostante la sofferenza, che il mondo “di fuori” travolga e cancelli il “mondo di dentro”. Quello autentico, fatto di sogni, aspettative e meschini sgambetti di un tempo senza pace.
Oltre Massimo Finelli, nel ruolo di Pelle di Seta, è necessario ricordare anche le ottime interpretazion di Carlo Di Maio, Stefano Airota e Antonio Clemente.

Claudio Finelli

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