La splendida e triste parabola di Nijinsky
il ballerino che sfidò gli astri del cielo

 

 

Siede su un trono, in attesa di omaggi sentiti. Vaslav Nijinsky (Andrea Cancelliere) rifiuta gli omaggi floreali della moglie Romola (Clara D’Afflitto Morlino) e porge svogliatamente il piede nudo ai baci riconoscenti del suo mentore Djaghilev (Francesco Giannotti). E, struccandosi, offre le sue lacrime folli e solitarie al pubblico ludibrio. E’ questo il folgorante inizio di “Nijinsky, il buffone di Dio”, che al Sancarluccio di Napoli prima e all’Elettra di Roma ha portato sulle scene la vita del ballerino ucraina, perno dei Balletti Russi e caduto nella polvere della pazzia, dopo aver assaporato gli altari dell’universomondo.

Se il rapporto sado-masochistico tra impresario e artista é più evocato che agito, incombe sullo spettacolo, dal primo all’ultimo istante, lo spettro della tragedia. La figura di Romola, che sottrasse con successo il marito all’amante, decretandone di fatto la fine della carriera, è allo stesso tempo baricentro e squilibrio della vicenda, col suo amore ambiguo e le ambizioni frustrate.

Antonio Mocciola prosegue con coerenza il suo discorso artistico che da anni mette al centro le degenerazioni umane, sollevate (e alla fine assolte) dall’estremo sacrificio dell’arte, e con Diego Sommaripa (che cura anche la regia) scrive un testo che ferisce nei monologhi, e cura nei dialoghi, cucendo alla fine le trame di un tessuto che, come le corde che minacciose pendono dall’alto, alla fine strangolano l’etoile.

Andrea Cancelliere offre l’anima, e poi il corpo nudo, al suo Vaslav svagato, geniale, irrequieto, capriccioso, fermo – fino alla fine – ad un’infanzia ideale mai veramente vissuta (“ti piacevo anche ad undici anni” – mormora viperino al suo master), mentre Clara D’Afflitto Morlino è la cordiale vestale che porge, sorridendo, la cicuta decisiva, tenendosi stretta il bottino (prole ed eredità).

Francesco Giannotti è un gigante d’argilla che non regge al peso del suo primo fallimento, entrando nello spettacolo con una massiccia nudità, che sa sgretolarsi solo quando la sua creatura gli offre il dono del corpo, ma non del cuore. Tre ottimi interpreti, su cui veglia la regia creativa e ficcante di Sommaripa e le bellissime musiche originali di Gianluigi Capasso.

E se pensate che questi meccanismi di amore e distruzione siano datati, siete in errore. Dietro tanti artisti, ancora oggi, ci sono fili d’acciaio a condurre (e spesso interrompere bruscamente) le danze.

Emil Caruso

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