La “dolce” vita di Mario Gallucci, re del cioccolato
“Le nostre uova per la ricerca sul cancro”

Non sempre dovere fa rima con piacere, specie se il lavoro viene, per così dire, trasmesso per patrimonio genetico. Il peso del nome Gallucci lo porta volentieri Mario, solare quarantaquattrenne napoletano che porta il nome del nonno, e l’energia di chi ama davvero il suo lavoro. La sede, in vico Lammatari 38, è quella storica, che nel 1890 aprì i battenti nel cuore del rione Sanità, più che mai “cool” in questo momento storico.

Ma non è sempre stato così: “Il nome di questo quartiere – ammette – era spesso associato a camorra o delinquenza, e invece è pieno di gente che lavora, con un cuore enorme. Quando morì nonno Mario mi arrivarono migliaia di lettere, tutti chiusero per lutto le loro attività. Era il 1997. Da allora capii più che mai che avrei dovuto dare un seguito al suo esempio”.

Attorno a lui, i preparativi per la pasqua si mescolano agli inevitabili pesci d’aprile, e soprattutto alle uova calcistiche con le fattezze di Osimhen, colpo di genio dell’azienda. Uno dei tanti. “A noi si devono – dice con giusto orgoglio – i cioccolatini artigianali “nudi”, la cioccolata foresta, il caratteristico pesce dalla carta azzurra, i “frutti di mare”, e tante delizie nel nome della qualità e dell’artigianalità. Le nocciole, per dire, arrivano da Giffoni, le mandorle da Avola, il cacao dalla Costa d’Avorio. I prodotti sono fatti a mano, uno per uno, e questo si vede e si sente. Non è un caso se le richieste arrivano da tutto il mondo. E Fabergé ci ha eletto sua cioccolateria ufficiale, scusate se è poco”.

Sulle pareti, memorie di un passato illustre, fotografie, pergamene araldiche: materiale per un prossimo, auspicabile, museo.

La famiglia è la mia forza – ammette Mario – siamo una squadra numerosa e fattiva, che nei periodi più intensi si rafforza ancora di più. Mio padre Luigi, mio zio Bruno – che segue l’amministrazione – e le figlie Nadia, Martina e Roberta, madre del piccolo Mattia. E ancora zia Amalia e sua figlia Pamela, mia sorella Marina…

Un mondo quasi tutto femminile si affanna attorno a confezioni, ordini, telefonate, clienti, turisti da ogni dove. Ma l’orgoglio di Mario va oltre: “L’impegno per le cause sociali è il nostro fiore all’occhiello – rivendica con orgoglio – penso all’Airc, e sapere che i ricavati delle vendite delle nostre uova aiutano la ricerca sul cancro mi rende fiero. Saremo a Casa Ascione fino all’8 aprile, Ma collaboriamo anche con l’ospedale pediatrico Santobono, e per tante altre cause in cui, per pudore, preferiamo non comparire”.

Una vita per il lavoro comporta sacrifici: “La vita privata ne soffre – confessa – anche se, appena prima di separarmi, ho avuto il dono di una bellissima figlia, Ludovica, che ora ha 12 anni”.

La stessa età che aveva Mario, quando guardava il nonno lavorare a mano la pasta di mandorle. Cosa è rimasto di quel ragazzino? “L’amore per le cose belle, l’entusiasmo, la gioia nel trasmettere il sapere che, prima di me, generazioni di artigiani ha appreso da quella precedente”.

Certamente anche Totò, che abitava nei pressi, sarà passato in bottega ad assaggiare il cioccolato di un’azienda che ha passato indenne due guerre, una pandemia, il cambio di gusti e di mode, le crisi del settore, la spietata concorrenza e le inevitabili altalene del mercato. Negli anfratti del laboratorio, strappato alla roccia, laddove c’erano i rifugi anti-bombe degli anni ’40, ora regnano dolci profumi e scaramantiche promesse tricolori. Mario da’ un’occhiata commossa alla parete, dove nonno Mario sorveglia ancora dal suo mondo in bianco e nero: “Non dimenticherò mai il suo insegnamento”.

Fuori bussa la primavera. Centinaia di uova sono pronte ad invadere le case di grandi e piccini. La vita inesorabile va avanti. Dolce si, come il cioccolato, come l’aria di marzo, come il sorriso di un nonno.

Antonio Mocciola

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