“Jackson Pollock. La figura della furia”

Esposte per la prima volta a Palazzo Vecchio di Firenze alcune opere del pittore newyorkese.

Foto (1)FIRENZE Con sedici opere autografe e una sezione multimediale Firenze offre il suo primo omaggio al grande artista americano Jackson Pollock (1912-1956), massimo esponente della cosiddetta “Action Painting”. Espressione che, come noto, fu coniata nel 1952 dal critico Harold Rosenberg per meglio definire un filone del linguaggio pittorico affermatosi negli Stati Uniti subito dopo la seconda guerra mondiale e spesso impropriamente detto ‘Espressionismo astratto’. In esso assumeva importanza fondamentale l’atto creativo, il gesto concreto del dipingere, da interpretarsi non come semplice atto automatico, ma come estensione diretta dell’‘io’ dell’artista. Ciò che contava era più il momento della creazione  che non il risultato formale. Nasceva così una pittura violenta, cromaticamente decisa, che voleva opporre alle regole della società del benessere il comportamento, non controllabile, dell’artista.

È proprio questa la “figura della Furia” evocata nel titolo dell’esposizione fiorentina: una ‘furia’ creativa, che spingeva Pollock  a realizzare i propri capolavori attraverso la tecnica del “dripping” (dal verbo ‘to drip’, colare, gocciolare): con gesti apparentemente improvvisati il pittore, in una sorta di trance, spargeva spruzzi di colore direttamente sulla tela, generalmente di notevoli dimensioni e sdraiata orizzontalmente a terra. Tra il 1947 e il 1950, al suono della musica jazz che tanto amava, Pollock realizzò in questo modo opere monumentali, quasi porzioni di affreschi, che coinvolgevano fisicamente lo spettatore, spingendolo in una «tessitura senza principio e senza fine». Ma qui sorge il primo dubbio sulla validità della mostra fiorentina, dove la tecnica del “dripping”, pur espressamente evocata, è attestata da due soli esempi, per altro di piccole dimensioni e secondaria importanza: la Composition with Black Pouring del 1947 (cm 43,8×23,3) e il Painting A del 1950 (cm 55×77). Mentre due serigrafie Untitled, entrambe prestate dalla Washburn Gallery di New York, dimostrano come già nel biennio 1951-1952 la produzione pittorica di Pollock registrasse una drastica abolizione dei colori a favore del nero.Disegno

Ma, nelle intenzioni dei curatori, la “figura della Furia” richiama anche e soprattutto quella ‘furia’ che Giovanni Paolo Lomazzo, teorico e pittore del Cinquecento, attribuiva ad alcuni suoi contemporanei. Tra questi Michelangelo, in particolare in quei capolavori, come “Il Genio della Vittoria” ora in Palazzo Vecchio, che erano realizzati con un movimento spiraliforme, simile alla «fiamma», fatto di parti non finite e di forze contrapposte. Una ‘furia’ che caratterizzerebbe anche l’esperienza artistica di Pollock. Secondo Sergio Risaliti e Francesca Campana Comparini è infatti possibile dimostrare con prove inconfutabili una continuità tra l’opera di Buonarroti e quella di Pollock. A tale scopo sono stati riproposti sei disegni dell’artista americano conservati al Metropolitan Museum di New York, per la prima volta visibili in Italia. Tratti da due quaderni di lavoro (gli “Sketchbooks” I e II) erano già stati pubblicati nel 1997 da Katharine Baetjer in occasione di un’esposizione temporanea dedicata alla relazione di Pollock con gli antichi maestri italiani. Sono databili al 1937-1939 e riferibili agli anni di studio presso l’Art Students League di New York, sotto la guida del pittore Thomas Hard Benton. Esponente e sostenitore del movimento regionalista americano, Benton basava il proprio insegnamento su una particolare attenzione alle tecniche del disegno e della composizione, da indagare attraverso le opere degli antichi maestri, El Greco (1541-1614) in primis (come provvedono a informarci gli stessi curatori). Non sorprende dunque trovare, nei citati taccuini, schizzi ripresi dagli artisti europei del Cinquecento. Essi furono probabilmente commissionati al giovane Pollock come esercizio accademico ed è abbastanza normale che tra questi vi fossero anche studi della Cappella Sistina. Basare su sei saggi giovanili una visione di Pollock come ‘discendente’ del maestro rinascimentale sembra, a nostro parere, una forzatura esegetica non sostenuta da adeguate fonti.

E non basta neanche la lettera del direttore d’orchestra Morton Feldman, fortuitamente ritrovata quando la mostra era già stata allestita e il catalogo stampato. In essa si afferma: «Via via che conoscevo meglio Pollock (grazie soprattutto a certe conversazioni in cui lui stesso faceva dei collegamenti tra il proprio lavoro e i disegni di Michelangelo o i disegni rituali con la sabbia degli indiani d’America), cominciai a cogliere altre associazioni che avrei potuto esplorare nella musica. Perciò il fatto che un pittore come Pollock, che camminava intorno alla tela, intingeva una bacchetta in un barattolo di pittura e poi lo faceva sgocciolare in un certo modo… il fatto che un pittore del genere potesse citare Michelangelo, lo trovavo e lo trovo ancora assolutamente sconcertante». Abbiamo deciso di riprodurre integralmente questo passo per confermare la labilità dei documenti presentati come ‘prove inconfutabili’. Lo stesso Feldman, che pure ebbe un solido rapporto di amicizia con Pollock, rimase ‘sconcertato’ all’idea di una vicinanza di ideali tra i due artisti.

Disegno 2Al contrario, solide basi documentali dimostrano che Pollock non vide mai dal vivo le opere di Michelangelo e che il suo interesse per il fiorentino fu così vago e superficiale che ancora oggi non conosciamo la fonte utilizzata per la realizzazione dei disegni in oggetto. Non solo. Essi risalgono a un momento biografico in cui il grande artista ancora pensava di dedicarsi alla scultura, ma non abbiamo alcuna  attestazione d’attrattiva risalente agli anni della maturità. Comunque, se non sono condivisibili i presupposti dell’esposizione, essa può essere considerata un’occasione per una visita a Palazzo Vecchio, questo sì un gioiello imperdibile.

Lorena Vallieri

 

Firenze, Palazzo Vecchio (Sala dei Gigli e Sala della Cancelleria)

Complesso di San Firenze (Sala della Musica)

16 aprile-27 luglio 2014.

www.jacksonpollock.it

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