Diversità o differenza? Il Piccolo Teatro di Milano ospita un interessante ciclo di incontri

Schizzi di cronache teatraliNel mese di gennaio, nel Chiostro Nina Vinchi adiacente alla sede storica del “Piccolo di Milano””, sono stati programmati un paio di incontri dal titolo Teatro e differenze / La differenza del teatro.

Già nel primo, tenutosi pochi giorni fa, il termine “differenza” è stato declinato nelle sue più svariate implicazioni. Suggestive la riflessioni di Maddalena Giovannelli, sul teatro come luogo ove disinnescare quel processo di indifferenza con cui cerchiamo di difenderci dalle tragedie del presente; come occasione per metabolizzare i nostri tabù più inveterati, come quello della morte. Non meno intriganti le notizie, riportate dal germanista Marco Castellari, di ardite aperture alle differenze etniche e culturali, che a Berlino stanno coinvolgendo anche istituzioni in passato connotate da scelte rigorosamente tradizionali, come il teatro Gorki.

Nell’insieme, una tavola rotonda stimolante. Mi ha stupito, tuttavia, il fatto che il termine parallelo a “differenza”, cioè “diversità”, fosse per lo più bandito dal lessico dei relatori.

Esiste una prestigiosa rivista cartacea (una delle poche superstiti, in ambito teatrale) che si intitola Teatri delle diversità; si parla di “diversamente abili”, e credo sia stato Altan, per ironizzare sul politically correct, a inventare l’espressione “diversamente giovane”. Eppure si direbbe che la fortuna della “diversità” sia declinante, rispetto alla “differenza”.

A ciò ho cercato di dare una risposta possibile, partendo dall’etimo. “Differenza” deriva dal latino fero, porto; “diversità” deriva da verto, devio: due aloni semantici ed emozionali quasi opposti. L’uno più accattivante, l’altro più scostante; certo diversi (o differenti?).

Un’osservazione su cui riflettere, e come tale la porgo al lettore.

 

Claudio Facchinelli

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