Il mondo fantastico nel Macbeth di Verdi
al Teatro Regio di Torino

 

 

Il rapporto teatral musicale tra Verdi e l’argomento “fantastico” è stato sempre controverso nella poetica del Maestro. Questi, nelle numerose lettere a Ricordi, esprimeva costantemente il rifiuto a musicare argomenti che non avessero attinenza con la realtà, in ossequio ad una sua personale adesione al romanticismo che rifuggiva a concezioni visionarie,  ma proprio nel fantastico pare abbia dato prova di grande talento musicale.

Il Macbeth è un esempio lampante, ma potrebberonsi annoverare anche la grande scena ed il personaggio di Ulrica nel ballo in Maschera e, entro certi limiti, la Preziosilla dalla Forza del Destino, per non parlare dell’atmosfera complessiva del Don Carlo.

Se il Grande Compositore si fosse deciso alfine a musicare il tanto sognato Re Lear con molta probabilità il suo incontro con Shakespeare avrebbe toccato un vertice mai affrontato se non, e con risultati non pienamente convincenti, da un autore di fine ottocento, tale Antonio Cagnoni; tuttavia anche in musica i se  ed i ma non fanno la storia, ci limiteremo ad “accontentarci” – ci sia concesso – del meraviglioso esistente.

Macbeth indubbiamente rappresenta il primo vero incontro tra Verdi ed il grande drammaturgo inglese; benvero, non che in precedenza Verdi non abbia sperimentato forme che dissolvessero le secolari aristoteliche unità di tempo, luogo ed azione: si ponga mente al Nabucco, ai Lombardi, od ad Ernani, quadri rapidissimi che si giustappongono frantumando l’azione – che spesso deve immaginarsi fuori scena – dando la sensazione di grande velocità nell’esecuzione.

Con Macbeth il verace soggetto shakespeariano irrompe nella drammaturgia verdiana con tutta la sua complessità di esecuzione (il librettista dovè provvedere ad un drastico taglio di scene dall’originale) e di messa in scena con una scelta musicale che – lo si intuisce – avrebbe comportato arditezze timbriche mai sperimentate in precedenza. E che Verdi amasse particolarmente quest’opera lo dimostra il fatto che ne curò personalmente il rifacimento parigino per l’edizione del 1867 con la collaborazione di Arrigo Boito rivedendo la vecchia partitura del 1845 per almeno un terzo della sua estensione.

Quella proposta dal Regio rappresenta una via di mezzo, integralmente ispirata alla partitura parigina, anche se priva di entrambi i balletti (comprensibile quello del sabba, meno il taglio del ballet blanc che, del resto, serve a attenuare la tensione tra la scena delle profezie e quella del duetto Lady-Macbeth),nonché  del coro risolutivo finale; l’opera, quindi, termina in modo un po’ brusco con la morte (con la cabaletta finale “mal per me che m’affidai/ai presagi dell’inferno..”) del protagonista.

Ricca di sfumature e convincente la resa musicale  affidata alla bacchetta di Giulio Laguzzi, cui va il merito di aver assunto la responsabilità (e le buone sorti) dello spettacolo dopo la defezione all’ultimo minuto di Gianandra Noseda colpito da fulminante indisposizione.

L’orchestra del Regio, che avevamo avuto occasione di sentire più volte in diretta radiofonica, si rivela preparata e tecnicamente assai precisa, nella scelta dei tempi e dei colori musicali, perfettamente allineata con il palcoscenico non c’è stata la minima sbavatura, confermandosi come uno dei più convincenti complessi musicali d’Europa, coniugando la cantabilità italiana e il rigor d’oltralpe.

Indiscutibilmente preparato il coro con la direzione di Claudio Fenoglio allo stesso tempo misurato ed esplosivo nelle parti più sanguigne dell’opera, ma senza alcuna smargiassata, come spesso accade di udire in altre riprese dell’opera, si è espresso nel finale dell’atto primo con decisione ma eleganza sottolineando il sottile contrappunto che Verdi ha impresso alla partitura; del pari il finale del brindisi ove il Coro accompagnava con dolcezza il ritmo a barcarola che Verdi ha espressamente scritto per sottolineare lo smarrimento della ragione degli ospiti del banchetto a seguito della follia del Re.

Le voci sono state il punto di forza della serata.

Incredibilmente potente ed espressiva la lady di Oksana Dyka, bellezza vocale accompagna a straordinaria potenza hanno reso una protagonista selvaggia, truce, una vichinga, mercé la sottolineatura dei costumi che ne evocavano la nordica e guerriera origine, unica pecca la difficoltà nelle mezze voci e nei filati, di talchè l’intera performance della cantante appariva improntata ad un continuo d omogeneo forte, il che, specialmente in specie nella scena del sonnambulismo rivelava qualche debolezza in talune frasi che Verdi in particolare aveva sottolineato in partitura con specifiche didascalie quali “sottovoce” o “tra i denti”. Mirabile il do diesis di “andiamo” in conclusione dell’aria del sonnambulismo.

Incredibilmente dotato di belli ed eleganti mezzi vocali il Macbeth di Gabriele Viviani: voce potente ma molto chiara e corposa nella zona centrale, ha manifestato cenni di stanchezza (più che comprensibilmente) verso la fine dell’opera in “pietà rispetto amore”.

Bellissima la voce di Marko Mimica, Banquo, profondamente umano e di indole giusta, è il personaggio che intravede l’iniquità e l’ambizione che alligna nell’animo di Macbeth e lo sussurra nel duetto della scena iniziale del primo atto “o come s’empie costui d’orgoglio”, ma è nell’aria “come dal ciel precipita” che la possanza vocale di questo interessantissimo cantante viene fuori in tutto il suo vigore ed eleganza.

Convincente la prova di Giuseppe Gipali nelle vesti di Macduff, tenore di sperimentata esperienza che si è avuti modo di ascoltare in numerose occasioni a teatro anche i altri ruoli, voce dotata di squillo sicuro perfettamente in grado di riempire una sala ampia quale quella del Regio.

La regia di Emma Dante per questo Macbeth (la cui produzione è nata al Massimo di Palermo) ha concentrato una summa di idee alcune delle quali molto interessanti altre più discutibili.

Condivisibile l’idea di mostrare le streghe in scena nate da un organismo informe, un orribile uovo primordiale macchiato del sangue profetato dalle ancelle dell’inferno, dalla cui schiusa le prime vengono alla luce pronte ad unirsi a creature parimenti infernali e, da questi pregne, partorire il frutto della loro unione nei calderoni del sabba del III atto.

Efficace l’idea di far calare, con l’entrata in scena della Lady, una serie di pale composte da lance disposte a raggiera che, per un verso, evocano il gusto siciliano nei fregi delle ville signorili, dall’altro, simboleggiano una corona: segno che sia Macbeth che la moglie son preda di una spirale delittuosa che li spingerà alla ricerca del potere ma che allo stesso tempo li ingabbierà inesorabilmente lasciandoli nella loro sterile solitudine; di qui la scelta, nella scena del banchetto, di giustapporre troni dorati sempre più alti sui quali Macbeth ascenderà fino al punto in cui, raggiunto il potere Regio, non potrà più da esso discendere isolato dalla hybris alla quale ha pagato il fio delle sue malefatte.

Meno convincente il forzato riferimento alla tradizione siciliana che poco aveva a che spartire con la tragedia ambientata in Scozia.

La morte di Re Duncan è stata rappresentata con un gruppo di donne vestite alla tradizione siciliana occupate a comporre e lavare il cadavere sul quale i soldati hanno disposto a raggiera un gruppo di spade, tipico delle icone della Madonna Addolorata catanese, infastidivano i continui riferimenti al crocefisso, quasi come se la sicilianità, frutto di una stratificazione secolare, potesse evocare la barbarie di una Inghilterra Scozzese primordiale e selvaggia, tribale e disordinata ove gli eccidi erano la premessa per la successione del potere.

Non condivisibile, purtroppo, la scena del sonnambulismo nella quale sarebbe preferibile spogliare e prosciugar del tutto il palcoscenico da ogni arredo, lasciando sola la Lady ai suoi incubi ed ai sensi di colpa: del resto tutto è scritto ed evocato dalla musica e nella musica, il pianto dell’oboe e del clarinetto, le frasi dei violini all’unisono che riprendono, in tono dimesso, la frase già udita nel preludio orchestrale; tutto è concentrato nell’identità solitaria della protagonista che, a nostro avviso, va lasciata sola sul palco, preda dei suoi mostri, senza che lo spettatore venga continuamente distratto da inutili didascalismi o immagini caricaturali dei letti di ospedale semoventi al seguito della Lady.

Resta un bilancio assai positivo nel complesso, ed un plauso al Regio che ha saputo coniugare tradizione ed innovazione, rigore e sperimentazione in un’opera rischiosa proprio perché banco di prova di artisti geniali che proprio essa hanno scelto per dar il meglio di sé.

Pietro Puca

 

 

Rappresentazione del 27 giugno 2017

Melodramma in quattro atti

Libretto di Francesco Maria Piave [e Andrea Maffei]
dall’omonima tragedia di William Shakespeare

Musica di Giuseppe Verdi

 

Personaggi Interpreti
Macbeth, generale dell’esercito
del re Duncano baritono
Dalibor Jenis
Gabriele Viviani (22, 27, 29, 1)
Lady Macbeth,
moglie di Macbeth soprano
Anna Pirozzi
Oksana Dyka (22, 27, 29, 1)
Banco, generale dell’esercito
del re Duncano basso
Vitalij Kowaljow
Marko Mimica (22, 27, 29, 1)
Macduff, nobile scozzese,
signore di Fiff tenore
Piero Pretti
Giuseppe Gipali (22, 27, 29, 1)
La dama di Lady Macbeth
soprano
Alexandra Zabala
Malcolm, figlio di Duncano
tenore
Cullen Gandy
Alejandro Escobar (1)
Sabino Gaita (2)
Il medico baritono Nicolò Ceriani
Enrico Bava (27, 28)
Lorenzo Battagion (25, 1) 
Un servo di Macbeth
e l’Araldo basso
Giuseppe Capoferri
Desaret Lika (22, 27, 29, 1)
Il sicario baritono Marco Sportelli
Davide Motta Fré (22, 27, 29, 2)
Prima apparizione baritono Lorenzo Battagion
Riccardo Mattiotto (22, 27, 29, 1)
Seconda apparizione voce bianca Francesca Idini
Elettra Pistoletto (22, 27, 29, 1)
Terza apparizione voce bianca Anita Maiocco
Filippo Chiappero (22, 25)
Duncano, re di Scozia mimo Francesco Cusumano
Fleanzio, figlio di Banco mimo Nunzia Lo Presti
Direttore d’orchestra
Giulio Laguzzi (27, 28, 29, 30 1, 2)
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Coreografia Manuela Lo Sicco
Maestro d’armi Sandro Maria Campagna
Luci Cristian Zucaro
Assistente alla regia Giuseppe Cutino
Maestro del coro Claudio Fenoglio

 

Orchestra e Coro del Teatro Regio

Attori della Compagnia di Emma Dante
e Allievi della Scuola dei mestieri dello spettacolo del Teatro Biondo di Palermo

Solisti del Coro di voci bianche del Teatro Regio
e del Conservatorio “G. Verdi”

Nuovo Allestimento
in coproduzione con il Teatro Massimo di Palermo
e l’Associazione Arena Sferisterio – Macerata Opera Festival

 

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