“I mali minori”: l’ambiguità di peccati e peccatori

Nell’ambito del Festival Risveglio di Periferia, a Milano, é andato in scena, al Teatro Linguaggicreativi, “I mali minori”, scritto da Antonio Mocciola per la regia di Diego Galdi, con Alessandro Grima e Caterina Luciani Messinis.

Un intenso ritratto d’epoca, in cui sprofondano – quasi catapultati da un qualche altrove – due novelli sposi uniti da un unico legame: l’essere stati costretti a sposarsi. Ma la natura prevale, e il destino fa il resto.

Prendendo spunto dalle opere più autobiografiche di André Gide, autore a torto sottovalutato, specie in passato, Mocciola affonda la sua penna acuminata nei vizi e nelle morbosità dell’essere umano, scoperchiandoli oscenamente e rinunciando a qualsiasi soluzione consolatoria, mostrando ancora una volta coerenza e lucidità. Scortato dalla vigile e solida regia di Diego Galdi, il cast esprime con pienezza e preziose sfumature le parole (ma anche le intenzioni recondite) del testo.

Alessandro Grima è uno straordinario vulcano di sarcasmo dimesso e vitalità compressa, fino a una liberazione che rasenta la crudeltà – e invece è solo cinismo. Lo stesso che esprime il personaggio di Caterina Luciani Messinis, che sotto una spessissima coltre di bigottismo cela un’inossidabile ambizione di “normalizzazione”. Tra i due, la più pazza è certamente lei (ma a lui spetta il peccato senza redenzione, ed è lì il brivido del testo), e l’attrice veneziana sa rendere magistralmente l’anima rappresa di una donna che non si concede voli.

Una sala gremita, in un torrido giugno, non è cosa scontata, e tantomeno la notevole acclamazione che ha tributato allo spettacolo. Se poi si indaga su quali siano “i mali minori” (ambiguità sottile che potrebbe nascondere “il male dei minori”), le domande restano a fior di labbra. Cosa davvero abbiamo creduto di vedere? Quanto assomigliamo ai mostri che abbiamo ammirato sulla scena? Un teatro che scatena queste domande ha la T maiuscola. Chapeau.

Emil Caruso

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