Giuseppe Madonna tra musica e teatro
“L’Arte è il regno dell’imperfezione”

“Il buio oltre la città” nasce da un’immagine: due ragazzi che guardano, dalla collina, il panorama della città, fin dove finiscono le luci. Uno vede la paura, l’altro la possibilità di andare oltre l’ignoto che c’è dopo le luci”.

Con questa lampante descrizione, Giuseppe Madonna, musicista e attore di smisurato talento (solo in parte espresso, avendo molteplici e ancora insondate possibilità) presenta un progetto discografico in cui ha messo voce, cuore e – perché no – anima. “Il buio oltre la città”, riteniamo, é un lavoro brillante, originale e ricco di nuances personalissime.

Affidiamo a lui la descrizione delle canzoni che compongono questo progetto affascinante e complesso: “Uno dei brani che amo di più è “Gli eroi”, che per me sono le persone oneste, che si svegliano la mattina e a suon di rinunce e sacrifici portano avanti la giornata. Come ad esempio i miei genitori…

Tasto delicato, che porta Giuseppe a incrinare la sua bella voce tenorile: “Mia madre era una scultrice, con ottime intuizioni da architetto, e quindi un’artista, che in me ha visto una scintilla. Mio padre ha un bar molto popolare a Materdei, da lui credo di aver preso la cordialità e una forte tendenza a comunicare”.

Il percorso musicale prosegue con “Completamente distorto”: “E’ un brano semplice e diretto, che affronta il tema dell’adolescenza, che io ricordo molto bene pur essendo abbastanza lontana. E’ un periodo particolare, io ad esempio non mi sentivo adatto a nulla. Il tempo mi ha dato le risposte”.

Si va avanti con “I ragazzi fuori al bar”: “Ho temuto di essere uno di loro, li vedo a volte persi, come se non avessero futuro, progetti, ambizioni. Chi pensa a loro?

Con “Fratelli” il discorso si fa ancora più serio: “E’ tratto da fatti di cronaca. Racconta di come ci si lasci trasportare, a volte, in territori scivolosi”.

Giuseppe Madonna ha sorriso chiaro, occhi vivaci e gusti precisi: “Adoro Bruce Springsteen, ho fatto il disco per fare finta di essere lui. Amo Nebraska, apprezzato solo dalla critica, e fatto tutto in casa: voce, chitarra e armoniche. In italia apprezzo molto Lucio Dalla. La mia formazione musicale proviene dalla musica napoletana, da D’Alessio a Pino Daniele, ma poi quando ho avuto la possibilità di ampliare i miei orizzonti ho scoperto Vasco Rossi, Francesco Guccini, Joe Cocker, ma anche il metal con gli Iron Maiden. E ho scoperto che c’era anche altro”.

Quello che sorprende di Giuseppe è la spalancata disponibilità di farsi attraversare dalle emozioni, e restituirle, mettendosi completamente a nudo: “Mi sento bene solo quando suono e canto, la musica è balsamo, medicina, cura. Vorrei che le mie canzoni arrivassero così come sono, non artefatte, sincere, nude. Amo i veri live, con tutte le imperfezioni che li rendono preziosi: pensò a quelli della PFM con De André, ad esempio. Anche quando sbagliano, o vanno fuori tempo, è Arte”.

Non lo tentano i talent, ma “i concorsi sì. Bisogna mettersi in gioco, ma senza gli scannatoi che vedo ora. La musica è una cosa seria. Anche quando è imperfetta. Soprattutto quando lo è”.

Antonio Mocciola

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