“Gala”, la libertà dell’ordine secondo Jérôme Bel

Imitazione, interpretazione e definizione: a Fabbrica Europa il lavoro del coreografo francese che «offre la scena» a venti non-danzatori

Domandarsi che cosa sia l’“atto del ballare” sarebbe un po’ come interrogarsi sulle funzioni del respirare o del camminare. Da un punto di vista antropologico, potremmo dire che azioni di questo tipo risultano del tutto spontanee, “automatiche”, inconsce, che si realizzano e basta e senza troppa fatica, indipendenti anche dalla volontà stessa di compierle. E non è azzardato dire che il ballare rientra perfettamente nell’annovero di questi gesti di cui dobbiamo, col tempo, solo prendere consapevolezza. Si badi bene, stiamo parlando di quell’istinto naturale –appunto- che ci porta a seguire il ritmo della musica e non di danza nel senso di arte codificata.

A Fabbrica Europa, Jérôme Bel è un po’ come se dimostrasse questo principio. Con “Gala”, coprodotto dal Festival che lo ospita e il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato per la mostra 76’38’’ + ∞ (curata da Antonia Alampi) assistiamo come a un’organizzazione della “teoria”. Sono in tutto venti le persone, e non i danzatori, con cui il coreografo francese è a parlarci proprio di questo concetto; venti individui a cui «offre la scena» per dimostrare quanto l’atto del ballare non escluda nessuno: dilettanti, diversamente abili, uomini, donne, bambini, giovani o anziani. Eccentrici e con le pailettes sono gli abiti «da festa» che ognuno di loro ha scelto personalmente di indossare. Sono gonne di tulle, calze brillantinate, pantacollant lucidi, maglie a righe o autentici tutù pescati dai propri guardaroba personali gli unici elementi “di supplemento” ai corpi protagonisti di questa «celebrazione collettiva». Il palcoscenico è del tutto privo di artifici anche se l’effetto è comunque quello di un’esplosione di colori su nero alla “Flame on” del Ryan Taylor fotografo. Si tratta quasi di un “gioco” durante il quale, a priori, il coreografo deve aver dato a ognuno di loro la facoltà di scegliere un movimento, quello che più rappresentasse il proprio trascorso. Ad uno ad uno, gli elementi del gruppo, si sono poi cimentati nella propria traduzione di quel movimento, ovvero hanno semplicemente provato a riproporlo partendo dal più semplice concetto di imitazione. Imitare nel vero senso letterale di “prendere esempio” per riprodurre quanto più fedelmente ciò che vediamo e che, proprio per le caratteristiche di unicità di ognuno, non potrà esserne la copia esatta, ma qualcosa che da lì parte per evolversi nelle sue infinite possibilità. A questo poi va ad aggiungersi l’elemento sonoro che stimola anche la resa ritmica dell’azione, più lenta o più veloce, e l’intensità: come ci sentiamo di restituirlo quel gesto da riprodurre, secondo atteggiamenti di spettacolarità o con la timidezza di chi non ha mai varcato, da solo, un palcoscenico?

Questa è una performance che sembra dire «siete liberi»: liberi di esprimervi, liberi da giudizio, opinione o logica, liberi dal rappresentare una -e solo una- forma imposta dall’alto, liberi di preferire il vigore alla fragilità, la timidezza all’irriverenza, l’introversione alla coraggiosa manifestazione di un altro sé. Eccolo il ballare, quello che può non essere necessariamente danza, ma solo il suo principio, la “fonte” da cui può liberamente svincolarsi in una totale autosufficienza.
Sì, ma non ci dimentichiamo il contesto in cui siamo: un teatro, quello allestito negli spazi della Leopolda di Firenze. E questo Bel lo vuole chiarire fin da subito; ecco perché “Gala” inizia con la proiezione, nel silenzio, di immagini legate a luoghi di rappresentazione; ce ne propone una serie in ordine sparso: dall’Olimpico di Vicenza, ai Teatri d’Opera, fino ai piccoli palcoscenici che possono essere allestiti in una parrocchia o, addirittura, in un centro commerciale. Tutti spazi rigorosamente vuoti, fotografati dal punto di vista della platea, di un loggione o della scena. Questo cosa significa? Che per quanto provi la naturale predisposizione dell’uomo al movimento, lo spazio esige comunque la “pianificazione” del ragionamento, l’organizzazione delle cose secondo una costruzione causale e mai casuale.

La traduzione ordinata, sembra chiudere il cerchio di un pensiero che coinvolge, indistintamente, il pubblico perché il senso stesso di libertà si esprime secondo una successione stabilita di parti, ovvero proponendo qualcosa che ha tutte le caratteristiche di una coreografia anzi, fuori da ogni dubbio, lo è. Una contraddizione? Affatto. La pratica artistica dimostra quanto possiamo sforzarci di dare rigidi definizioni a ogni cosa ma, fortunatamente, sta a noi tradurla nel linguaggio che più ci appartiene. Esistono, è vero, delle “categorie” entro cui certi aspetti necessariamente devono rientrare, Bel li chiama BALLETTO, VALZER, MICHAEL JACKSON, INCHINO. E ognuna di queste divisioni (o pseudo generi) ha delle caratteristiche di “riconoscibilità” espresse in codici di movimento e sonorità: la coda del Don Chisciotte di Minkus, il “Danubio Blu”, il “Billie Jean” del re del pop o, semplicemente, gli applausi. Lo sfuggire a delle nette divisioni creerebbe non solo caos, ma un disordine fine a se stesso. Il genio è stato invece non infrangere certi confini ma lasciare, a ognuno, la possibilità di muovervisi dentro liberamente.

Jérôme Bel ha fatto ballare tutti. Jérôme Bel ha dimostrato che ballare è prima di tutto espressione di un sé unico, originale, ma soprattutto autentico.

Laura Sciortino

Firenze – STAZIONE LEOPOLDA, 10 maggio 2017

Ideazione: Jérôme Bel; assistente: Maxime Kurvers; assistenti del riallestimento a Firenze: Chiara Gallerani e Henrique Neves; di e con: Annamaria Balboni, Silvia Bastianelli, Hibrima Bejio, Lorenzo Bini, Guglielmo Camilletti, Luca Camilletti, Marcella Cappelletti, Mauro Cardinali, Kebba Cham, Sofia Collacchioni, Margherita D’Adamo, Irene Del Frate, Cecilia Di Giuli, Ada Donatini, Siliana Fedi, Sara Miriati, Sandra Querci, Gianni Rocchetta, Benedetta Scatizzi, Decimo Zanella; produzione del riallestimento a Firenze: Fabbrica Europa (Firenze), Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci (Prato); in collaborazione con: Institut français Italia, Fondazione Teatro Metastasio di Prato, Kinkaleri Prato; coproduzione: Dance Umbrella (Londra), TheaterWorks Singapore/72-13, KunstenFestivaldesArts (Bruxelles), Tanzquartier Wien, Nanterre-Amandiers Centre Dramatique National, Festival d’Automne à Paris, Theater Chur (Chur) e TAK Theater Liechtenstein (Schaan) – TanzPlan Ost, Fondazione La Biennale di Venezia, Théâtre de la Ville (Parigi), HAU Hebbel am Ufer (Berlino), BIT Teatergarasjen (Bergen), La Commune Centre dramatique national d’Aubervilliers, Tanzhaus nrw (Düsseldorf), House on Fire, con il sostegno del programma Cultura dell’Unione Europea; produzione: R.B. Jérôme Bel (Parigi); con il supporto di: Centre National de la Danse (Pantin) e Ménagerie de Verre (Parigi) nel quadro di Studiolab; consulenza artistica e direzione esecutiva della compagnia: Rebecca Lee; direttore di produzione: Sandro Grando; consulenza tecnica: Gilles Gentner; R.B Jérôme Bel è sostenuta da DRAC – Direction Régionale des Affaires Culturelles d’Ile-de-France – Ministère de la culture et de la communication, Institut Français, Ministère des Affaires Etrangères, ONDA – Office National de Diffusion Artistique

 

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