Emozioni in scena al Mittelfest 2015

Per il triennio 2015/2017, il Mittelfest si ispirerà, in successione, alla trilogia “acqua, aria e terra”, mutuata – con l’esclusione del fuoco – dagli elementi primigeni proposti da Eraclito da Efeso.

Il titolo della prima edizione del ciclo, tenutasi dal 18 al 26 luglio scorsi a Cividale del Friuli, era “Il colore dell’acqua”. Quasi un ossimoro, ma denso di suggestioni: dall’acqua, trasparente per definizione, che diviene verde e azzurra nei laghi e nei mari; fino alle inquietanti colorazioni dei corsi d’acqua inquinati e avvelenati dagli insediamenti industriali.

Dato un ventaglio così ampio di letture possibili di quel titolo, la direzione di Franco Calabretto ha voluto far corrispondere una scelta spettacolare variata, sia nelle forme e nello stile, sia nell’indirizzo dei destinatari, come appare da uno sguardo, anche sommario, a cominciare dalle proposte musicali.

Una scenografica performance dal titolo “Canto liquido per 7 cori e 149 bottiglie” ha aperto il festival nella chiesa di San Francesco. Qui i coristi, addossati alle pareti e ligi alla direzione di Franz Herzog, sistemato su un alto podio al centro della navata, alternavano le emissioni vocali a suoni prodotti soffiando in bottiglie, parzialmente riempite di acqua, che ognuno di loro portava appesa sul petto. A questa singolare e un po’ spiazzante esibizione, su musiche dell’austriaco Georg Nussbaumer seguiva, la sera stessa, un concerto di più immediato impatto emotivo: “Aghe, Voda. Ujë – Il passato della nostra anima è acqua profonda ” uno zibaldone multietnico (il titolo riporta la parola acqua in friulano e in varie lingue balcaniche), di poesie, sia tradizionali, sia d’autore, musicate da Valter Sivilotti, affidate a più voci soliste e all’imponente Mitteleuropa Orchestra diretta dall’autore.

“Acque e selve di Boemia”, rivolto a un pubblico diverso ma non meno coinvolto, presentava brani ispirati all’acqua – alcuni poco frequentanti – di tre grandi compositori boemi: Bredřich Smetana, Antonin Dvořák, Leóš Janáček: una colta, raffinata ricognizione musicale e letteraria guidata con signorile competenza da Quirino Principe, coadiuvato da Barbara Rizzi e Antonio Nimis, impegnati a quattro mani sulla tastiera di un maestoso Stainway da concerto.

Di alto valore simbolico e civile, prima ancora che artistico, l’esibizione del duo pianistico Armal, un palestinese e un israeliano. Sia nei pezzi a quattro mani, sia nei brani suonati su due splendidi pianoforti a gran coda, era sorprendente, commovente osservare la sintonia, quasi complicità, pur nella evidente differenza temperamento, dei due artisti, paladini di una battaglia che vede l’arte, e la musica in particolare, come strumento di incontro e superamento dei conflitti che trovano esca nelle diversità etniche o religiose.

Anche dal panorama degli spettacoli di prosa emergeva una notevole pluralità di linguaggi e generi. Marginale rispetto al tema, “Trash Cuisine” del Belarus Free Theatre, una compagnia che opera quasi in clandestinità a Minsk, è uno spettacolo impegnato contro la tortura e la pena di morte: un fiume lutulento, che alterna l’ironia e il sarcasmo a momenti di efficace, aggressiva drammaticità; apprezzabile per la presenza di giovani teatralmente attrezzati, che si adoprano sulla scena senza risparmio, spinti da una coerente passione civile.

Il tema dell’acqua, qui evocata come elemento vitale, emerge più esplicitamente in “Colonie”, cui la seducente presenza di Saba Anglana, attrice e cantante di origine etiope, conferisce un fascino ulteriore. Sarà lei a spiegare, durante l’incontro successivo col pubblico, che nel suo paese d’origine il colore attribuito all’acqua è il bianco, simbolo della sacralità.

Il bacino Mediterraneo, oggi periglioso percorso di disperazione e di speranza, veniva evocato da “Rumore di acque” di Marco Martinelli dove, i sarcastici monologhi di Alessandro Renda si alternavano alle fascinose, asprigne invenzioni musicali dei fratelli Mancuso.

Il medesimo topos veniva ripreso da “Il mio nome è Nettuno”, con una cavalcata storica attraverso le tragedie del mare, da Ulisse fino alla “Concordia”, passando per Robinson Crusoe e il naufragio della “Medusa”, restituite con efficacia dalla voce di David Riondino e dalle estemporanee, suggestive creazioni grafiche sulla sabbia di Massimo Ottoni.

Fuori sacco rispetto al tema principale, ma intrigante quale esperienza di meticciato culturale, “Selvaggina” nasce dall’incontro fra un testo del trentenne sloveno Nejc Gazvoda e una compagnia di giovani teatranti triestini, il ConsorzioScenico. Apprezzabile la professionalità attorale e alcune originali soluzioni registiche, che conferiscono un’impronta di verità a personaggi che rivelano come le inquietudini, le frustrazioni, le nevrosi accomunino, in modo trasversale, l’intera generazione dei trentenni, almeno in tutto il nostro mondo occidentale.

A conclusione di questo pur lacunoso e parziale giro d’orizzonte, da citare l’affettuoso omaggio che il Mittelfest 2015 e l’Accademia Nico Pepe hanno voluto tributare, in occasione del suo ottantesimo compleanno, a Giuliano Scabia, uno dei più singolari protagonisti della cultura italiana: poeta camminante inventore di visioni; affabulatore fascinoso; docente che ha sedotto con le sue lezioni generazioni di studenti del DAMS; teatrante che, agli spazi deputati, ha preferito le aie delle cascine, gli ospedali psichiatrici, i boschi, le traversate notturne.

A quest’uomo dai capelli bianchi, ma il viso connotato da una perenne, gioiosa espressione di meraviglia infantile, un esuberante stuolo di studenti dell’accademia, con la regia di Massimo Somaglino e il coordinamento artistico di Claudio de Maglio, hanno offerto “Viaggio nell’infinito andare”, che Valter Colle ha tratto dai “Canti del guardare lontano” dello stesso Scabia. Uno spettacolo itinerante lungo le piazze e le vie della vecchia Cividale, ove l’entusiasmo e l’energia vitale dei giovani attori, in sei diverse stazioni, liberava squarci della particolare poesia, a un tempo terragna e sublime, di Giuliano che, visibilmente commosso, accompagnava il lungo, affascinato corteo di spettatori.

Claudio Facchinelli

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