“Duramadre”, l’incubo familiare
firmato FibreParallele

FibreParallele porta a Galleria Toledo un altro saggio di teatro straniante ed ossessivo, “Duramadre”. Difficile restare indifferenti di fronte alla figura sardonica e inquietante della madre cui da’ vita (vita?) Licia Lanera, anche regista dello spettacolo. Tre sono i figli in scena (Mino Decataldo, Danilo Giuva e Simone Scibilia), avvolti in plastica-placenta, nudi. La loro nascita è un urlo universale, il pianto primigenio. Da lì, le parole scolpite e declamate dell’autore Riccardo Spagnulo diventano sgangherato idioma nella bocca della donna, e pigolii tremebondi in quelle dei “ragazzi” (almeno due dei quali decisamente agées). E tra scudisciate e sevizie psicofisiche, c’é pure il tempo per l’apparizione di una quarta figlia (Marialuisa Longo), segregata in una prigione-casa di bambola per tre quarti di spettacolo. La madre matrona troneggia sulla sua palafitta, e cuce sinistri abiti che i figli non possono indossare. Fino alla sua morte, rinascita degli altri. Un incubo di biacca e malamore, da cui si esce storditi e appagati. Teatro di squisita grammatica e di nessun riguardo per occhi borghesi, “Duramadre” sfonda le pareti del cervello, e bussa al cuore, per poi scappare via, inafferrabile. Uno scherzo serissimo, da tenere in alta considerazione.
Antonio Mocciola

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