Dura anabasi dell’amore: donna o dea

 

Eva Cantarella – parlando del poema monologo della poetessa e scrittrice contemporanea canadese Margaret Atwood, dedicato a Circe – parla dell’archetipo della pericolosa seduttrice incarnato dalla maga. Fuori dalle regole patriarcali, Circe toglie agli uomini la ragione e l’autocontrollo, li lascia in balia degli istinti e delle passioni, anche se nell’Odissea poi vince Ulisse.

Di questo tratta ‘Circe. Le origini’ (testo di Alessandra Fallucchi e Marcella Favilla, in scena al Festival Mito sull’Appia antica, 30.6.2022), di un archetipo da riscrivere e smontare, attingendo a più fonti.

Così le autrici – poi una in scena e l’altra alla regia – montano sapientemente Esiodo e Omero con testi moderni, la ‘Circe’ di Madeline Miller ed il poema della Atwood. Lo scopo è di rovesciare le incrostazioni patriarcali del mito, e di far riemergere la donna: una donna di lotta e di sentimento. Una persona che per esserlo paga il prezzo della solitudine. Un po’ il leitmotiv del festival, se è vero che qui come nella Clitennestra di Luciano Violante (18.6.22) la solitudine è il filo conduttore, sia pure una solitudine intrisa di coraggio e rivendicazioni.

Una solitudine che chiede l’amore e non più ruoli, ma che per questo avrebbe bisogno di uomini diversi. Di uomini persona, non uomini-maschio.

Di diverso tuttavia qui – sia pure con questo sottofondo femminista – c’è un forte filo di eros. Circe non vorrebbe che sesso ed amore, anima e corpo. Un compagno e marito. L’eros nel senso divino. E ci sbatte le corna con costanza e passione – talora dolenti talora persino comici ed ironici. Non rifiuta gli uomini, li cerca, e percorre il duro apprendistato della solitudine e dell’esilio. Ed in mezzo a questo dei e destino fanno la figura di un piccolo mondo gretto e conservatore – pieno di paure e pregiudizi – e per nulla affascinante e divino, ma specchio fin troppo reale degli uomini di allora e di molto dopo. Ma dicevamo. L’eros. Diciamolo ancora con le parole della Cantarella sul testo della Atwood.

Circe non vuole essere donna di fango, sempre disponibile. Ma anche amare, e non essere crocefissa alla scelta tra temere o disprezzare gli uomini. E non li disprezza. Ne incontra molti. Ma sono loro che non amano. Abili, seducenti, dolci. Ma sempre se ne vanno. E lei man mano lo accetta. Gli unici che non accetta sono ‘i porci’ ..i compagni di Ulisse, che si meritano la metamorfosi (così qui come nella Atwood)”.

E infatti in ‘Circe. Le origini’ (diversamente dall’Odissea), uno di loro riesce a stuprarla, prima che lei reagisca con l’incantesimo, fermando gli altri. Lei capisce infatti che stanno pensandolo quando imparano con stupore che non è protetta da padre marito o un parente qualsiasi. Ma recalcitra al pensarlo, e temporeggia. Non può credere a simile rozzezza ingrata, dopo che li ha nutriti.

Unico appunto forse – a questa operazione di modernizzazione e umanizzazione di Circe – è la struttura un po’ troppo lineare del testo.

Si parte dal finale, da Ulisse

Non ho scelto io. Non ho deciso nulla. Semplicemente un giorno sei comparso sulla tua stupida barca. Le tue mani da assassino, il tuo corpo disarticolato, scabro, come un albero. Pelle tesa sul costato, occhi blu. Riarso, assetato. Il solito .. ( tono smorzato ) ..

Fingendo di essere che cosa ?! Un sopravvissuto ? Chi dice di non volere nulla vuole tutto ! Non è stata questa avidità che mi ha offesa. Sono state le menzogne. “

E qui sembrerebbe esserci materia per un conflitto drammaturgico.

Ma Ulisse è solo silenzio, e subito si recede al racconto, un lungo e sentito flashback lineare.

Ninfa rifiutata e disprezzata dai genitori – che le preferiscono la sorella Pasifae, e i fratelli ( Perse e Ete ) – e poi rifiutata anche dal suo grande amore, Glauco ( per gelosia del quale trasformerà Scilla in mostro), Circe verrà esiliata su un’isola quando si fa ladra di magia e potere, impadronendosi dell’uso dei farmaka. Nell’esilio sarà oggetto continuo d’eros. Amerà l’astuto e creativo Ermes, un Dedalo maestro d’eros, e il tenebroso Ulisse.

Il racconto è intriso di sentimento, talora di dolente autoironia comica, sottolineato da abili gestualità e variazioni di tono, e intervallato da ‘microfonati’ in playback (la voce del pensiero, della coscienza, del rassegnato bilancio).

Ma resta un racconto, un po’ debole sul piano drammaturgico, dove non bastano a creare contrasto e dialettica i vari mimi delle voci altrui.

In ogni caso – grazie alla bravura dell’attrice ed alla sapiente regia – la performance regge con una sua intensità poetica. La scena è quasi nuda. Solo una scaletta su cui talora salire, o alla quale abbarbicarsi, e a terra quattro ciotole di vetro. Circe (Alessandra Fallucchi) arriva dalla platea, e sale sul palco coperta da un velo totale, come la donna di un harem islamico. Poi alza le braccia per toglierselo, schiena al pubblico, si volta, e comincia a raccontare.

Ruota, si inginocchia, ondeggia, e accanto agli stacchi in microfonato è aiutata a scandire la narrazione da altri segni scenici. Talora le luci bluastre e rosse, ma soprattutto le musiche – battenti e impressive – quasi tutte dei Massive Attack, ed un paio di August Wilhelmson.

Circolarmente il testo si conclude tornando su Ulisse, lasciando tuttavia un’apertura nel destino di Circe, affidata al commento finale microfonato:

Quella nave appare e scompare intorno all’orizzonte, e basta.

Ma non si dice a quel punto che cosa succede a me, sull’isola .. “

Dissolvenza musicale, e applausi.

Marco Buzzi Maresca

——————————————————————-

Scheda tecnica

Circe. Le origini’

Testo di Alessandra Fallucchi e Marcella Favilla

regia – Marcella Favilla

musiche – August Wilhelmson, Massive Attack, Hang Massive

Share the Post:

Leggi anche