“Due donne che ballano”. L’opera dal sapore vagamente surrealista, presto in tournée

L’avarizia di informazioni relative a Josep Maria Benet i Jornet recuperabili su Wikipedia – ormai assunto universalmente, nel bene e nel male, quale garante di ciò che esiste, o non esiste – è di per sé un dato su cui riflettere: nulla in italiano, salvo le poche notizie desumibili dai siti di due teatri che l’hanno recentemente messo in scena; poco in inglese e in catalano; qualcosa in spagnolo.

Settantacinque anni compiuti; una salute ormai compromessa dall’Alzheimer ma, fino a pochi anni fa, molto attivo anche nell’ambito della televisione spagnola. “Uno dei massimi autori del teatro spagnolo contemporaneo e padre del teatro catalano”, recita il programma di sala del Carcano di Milano, dove si è visto Due donne che ballano, un testo scritto nel 2010. Un po’ poco per inquadrare uno scrittore sicuramente fascinoso, e – a quanto sembra – molto rappresentato, non solo in patria.

Cercando di sopperire a queste carenze di informazione, il recensore azzarda un profilo della sua poetica, partendo da quanto osservato in scena.

Si riconosce, nella scrittura drammaturgica del Nostro, quello sguardo beffardo tipicamente catalano (ripenso a Els Joglars, visti a Milano negli anni settanta), ma anche un’ombra di surrealismo, del quale, in particolare, sembra colorarsi il finale, quando la vicenda scarta dai binari sostanzialmente realistici percorsi fino a quel momento. E vi si coglie anche uno spregiudicato, ispanico commercio con la morte, che è quello di certe incisioni e delle Pitture nere di Francisco Goya.

Due attrici eccezionali, Maria Paiato e Arianna Scommegna, modellano con impressionante efficacia e verità il complicato rapporto, inizialmente quasi ringhioso, fra due figure femminili, diverse per età ed esperienza di vita, ma ugualmente condizionate e prigioniere di un profondo male di vivere: più consapevole e lacerante nella giovane; non meno amaro, ma più mascherato nell’anziana. Solo sul finale le due donne avranno il coraggio di esprimerlo verbalmente, senza remore né pudori, ma tale catartica condivisione si risolverà in un finale spiazzante, festosamente tragico.

Il fascino dello spettacolo risiede nel rapporto dinamico fra le due donne, affidato a due interpreti anch’esse diverse per percorso artistico, per registri espressivi, oltre che per età; ma ambedue portatrici di quella sapienza teatrale che si esprime per sottrazione, più che per accrescimento. Ma nasce anche dall’intrigante invenzione registica di un realismo nitido, domestico, che assume tuttavia colori astratti, inquietanti, nei raccordi dei vari momenti narrativi, dove un suggestivo utilizzo delle luci muta la quotidianità della scenografia in atmosfere quasi da pittura metafisica; fino al finale, sospeso in una dimensione fra il reale e l’onirico.

Prima di quel momento il testo esplora terreni di forte rilevanza sociale ed umana: la solitudine degli anziani, di fatto scaricati dai figli; il tragico effetto che un rapporto violento fra i genitori può avere su un bambino incolpevole; gli obiettivi fasulli – le menzogne vitali, avrebbe detto Ibsen – inventati per dare senso a una vita che lo ha perso, o non lo ha mai avuto. Temi che l’autore affronta con lucidità, e che le due splendide attrici, grazie ad una regia che sa indirizzare ed esaltare il loro talento creativo, restituiscono in puro linguaggio teatrale, rifuggendo da qualsiasi ammiccamento macchiettistico o cedimento retorico.

Claudio Facchinelli

Due donne che ballano

di Josep Maria Benet i Jornet, traduzione Pino Tierno.

Con Maria Paiato e Arianna Scommegna, regia di Veronica Cruciani. Scene e costumi di Barbara Bessi; luci di Gianni Staropoli; musiche di Paolo Coletta

Produzione Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano

Visto al Teatro Carcano di Milano il 19 dicembre 2015

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