Così è (se vi pare) a centouno anni dalla sua nascita

La nitida e accurata messinscena di Filippo Dini sviscera nei suoi risvolti psicologici e sociali la parabola pirandelliana sulla verità

Per una curiosa coincidenza, pochi giorni dopo aver assistito a Così è (se vi pare), per la regia di Filippo Dini, mi è capitata sotto gli occhi un’antologia dei disegni satirici di Giuseppe Novello e, nella pettegola, meschina impotenza dei personaggi creati dalla sua impietosa matita, ho trovato una sorprendente consonanza con i tratti della borghesia provinciale che scaturisce dalla lettura offerta del testo pirandelliano. Non so se il regista abbia avuto contezza di una possibile contiguità poetica fra Pirandello e quell’artista geniale, forse oggi dimenticato. In ogni caso, gliela voglio segnalare, magari come spunto per una sua prossima regia.

Peraltro, Dini non si è risparmiato nel lavoro di approfondimento dell’opera, e ha inserito nella sua messinscena una serie di riferimenti culturali: alcuni anche arditi; mai peregrini.

Nelle note di regia cita L’angelo sterminatore, di Buñuel, e non è incongruo il richiamo al maestro del Surrealismo: un movimento, a rigore, estraneo alla poetica di Pirandello, ma a lui coevo.

Molti sono i simboli inseriti da una drammaturgia intelligente – improntata a una sostanziale fedeltà al testo, sviscerato, mai deformato – a partire da una riflessione sulla prima parte del titolo, quel “Così è” possibile traduzione – annota Dini – del termine ebraico “Amen”, alludendo a una simbologia mistica, a una corrente simbolista che fa anch’essa parte del retroterra culturale in cui nasce e cresce Pirandello. I tre personaggi oggetto delle ossessive indagini del piccolo capoluogo di provincia appaiono come una sorta di trinità nerovestita, cui fa da contraltare l’invenzione registica di una terna di domestici biancovestiti (uno dei quali visibilmente folle) che verso la fine usciranno di scena, valige in mano, come nel già citato Angelo sterminatore, ma forse anche con riferimento al beckettiano Finale di partita.

Si tratta di interventi di carattere drammaturgico più che testuale, come pure la mimesi di una crocifissione – o forse una deposizione – dell’incipit, o la sedia a rotelle cui sembra condannato il raisonneur Lamberto Laudisi, cui dà corpo e voce lo stesso Dini. In tal modo la parabola (così la chiama Pirandello) non risulta alterata, ma offre suggestioni ulteriori, pone domande cui non si pretende di dare risposte (come, peraltro, non pretende di darne l’autore).

L’assetto scenografico, modulato – come i costumi – in una serie di grigi e di beige, che a prima vista sembrerebbe riprodurre realisticamente un interno alto-borghese del primo ’900, rivela a poco a poco giochi di inquietanti fughe prospettiche variabili, imparentate con Escher, o con le geometrie trasgressive del Futurismo.

Quanto agli interpreti, accanto a una grande Maria Paiato (la signora Frola), a Giuseppe Battiston (il signor Ponza) al suo meglio, e al già citato Dini nel difficile, complesso, sfuggente ruolo di Laudisi, si muove una schiera di attori che, con una cura nella costruzione dei singoli personaggi, non inferiore a quella dei cosiddetti protagonisti, danno coralmente credibilità e spessore alla variegata umanità – questa sì, mostruosamente folle – che anima il surreale salotto pirandelliano. Da citare almeno la sempre sorprendente Mariangela Granelli (la signora Amalia) e Nicola Pannelli (il consigliere Agazzi).

Vale poi la pena di citare il programma di sala che, in un linguaggio piano e comprensibile (scusate se poco) rinunciando a esegesi cervellotiche, ci mette a parte, con onestà, dell’itinerario di ricerca e di studio compiuto da Dini e dai suoi collaboratori. Ma è la copertina a proporci ancora, come in understatement, un’ulteriore suggestione: una foto che riprende tutti gli attori, disposti e atteggiati come nel Cenacolo leonardesco; un bonario omaggio alla beffarda, ai tempi scandalosa invenzione di Buñuel nel suo Viridiana; e non soltanto.

L’operazione di Filippo Dini dimostra come anche il testo più enigmatico di Pirandello possa riproporsi, dopo cento anni, evidenziandone la perdurante validità (in quanto tratta di meccanismi profondi, non storicamente contingenti, dell’animo umano); senza cedere alla tentazione di una trasposizione all’oggi, ma esplorando quanto implicito nel testo, i riferimenti alla cultura coeva; sviluppando in forme diverse l’interrogativo esistenziale che, quasi ossessivamente, l’autore ci pone. Oltre a quanto già richiamato, si pensi al monologo di Laudisi allo specchio, qui risolto in forma di sogno, come a ricordarci che, in quegli anni, in tutta Europa si sta sviluppando la psicanalisi.

Un’ultima notazione. Gli anni in cui il testo pirandelliano vede la luce sono quelli in cui vanno scardinandosi i canoni estetici, sia nella musica, sia nell’arte figurativa: con Schönberg, con Stravinskij, col manifesto del futurismo, col gruppo Der Blaue Reiter. Ma sono anche e specialmente quelli della crisi della conoscenza scientifica, della messa in discussione della validità dei modelli tradizionali della fisica. E non mi riferisco tanto alla Relatività generale di Einstein (1915), quanto a ciò scaturirà da lì a poco; il principio di indeterminazione di Heisenberg (1927) e, con Niels Bohr (1928), la doppia natura della luce, ad un tempo ondulatoria e corpuscolare, che sanciranno l’impossibilità di cogliere l’essenza di un’inafferrabile verità scientifica.

Non era il caso di aggiungere anche queste considerazioni alle molte sollecitazioni che Dini ci offre in questa fascinosa messinscena, ma mi piace sottolineare che, con Così è (se vi pare), Pirandello ci regala uno sguardo geniale e profetico su quella sconvolgente svolta epistemologica.

Questa la dimensione dei grandi scrittori.

Claudio Facchinelli

Così è (se vi pare), di Luigi Pirandello.

Regia di Filippo Dini; scene di Laura Benzi; costumi di Andrea Viotti; luci di Pasquale Mari; musiche di Arturo Annecchino. Con (in ordine alfabetico): Francesca Agostini, Giuseppe Battiston, 
Mauro Bernardi, Andrea Di Casa, Filippo Dini, Ilaria Falini, Mariangela Granelli, Dario Iubatti, Orietta Notari, Maria Paiato, Nicola Pannelli, Benedetta Parisi, Giampiero Rappa.

Produzione del Teatro Stabile di Torino.

Visto al Teatro Carignano di Torino il 26 dicembre 2018

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