Continua il successo di Parenti Serpenti, apocalittica commedia sull’umana superficialità.

Sono già cinque anni, che quest’edizione teatrale di Parenti Serpenti di Carmine Amoroso, firmata dall’esuberante ed eclettico genio registico di Luciano Melchionna e interpretato da mattatori del teatro italiano come Lello Arena e Giorgia Trasselli, riscuote un incredibile successo di pubblico e di critica.

Un successo che continua a rinnovarsi perché, mai come in questo periodo, segnato profondamente dal doloroso avvilimento dei rapporti umani e dalla rarefazione delle relazioni interpersonali, in seguito a contingenze storiche che sarebbe pleonastico ricordare, il testo di Amoroso, pur innescando una serie di situazioni brillanti, che strappano applausi e sorrisi allo spettatore, trasmette anche un senso di lacerante disillusione e palpabile amarezza, mostrando quanto sia facile smascherare l’ipocrisia e l’opportunismo che si annida dietro a gesti e comportamenti spacciati solitamente come nobili e magnanimi.

La verificabile validità di questo progetto drammaturgico risiede anche – inutile negarlo – nella capacità di reggere perfettamente il confronto, sostanzialmente inevitabile, con la celebre trasposizione per il cinema firmata da Mario Monicelli e interpretata da attori del calibro di Paolo Panelli, Marina Confalone, Alessandro Haber, Cinzia Leone e tanti altri, un confronto dal quale Melchionna si smarca con originalità e determinazione sia portando sulla scena personaggi legati manifestamente alla nostra contemporaneità, ossessionati dalle più deteriori mode dell’era digitale, avvezzi a dinamiche relazionali ancora più frenetiche e nevrotiche di quelle restituite nella succitata pellicola cult del 1992, sia consegnando al protagonista Saverio, poliziotto in pensione interpretato da Lello Arena, uno spessore umano inedito, una malinconica tenerezza non rintracciabile nella nota versione cinematografica: Saverio – si chiede lo spettatore durante la messinscena – è veramente un anziano genitore affetto da demenza senile o è un uomo adulto che non resiste alla violenza e alla meschinità dei tempi e – per sopravvivere – decide di trasformare quel che vive e provocare “fanciullescamente” la reazione immediata, più o meno conciliante, del prossimo?

Quel che, naturalmente, resta immutato nella versione di Melchionna è il finale apocalittico dell’opera: la tragedia domestica che irrompe improvvisamente nella trama, mutando di segno alla commedia e rivelando, in tutto il suo diabolico cinismo, il grumo di superficialità, egoismo e finzione che brucia all’interno di una “rispettabile” famiglia borghese, non è una tragedia circoscritta, non riguarda solo la famiglia abruzzese al centro della pièce, ma è una tragedia che riguarda universalmente e senza esclusioni la società dei consumi, una società incapace di rinunciare ai propri spazi di vuota autorappresentazione e alla propria capricciosa e presuntuosa quotidianità, una società che ha perso definitivamente – come giustamente ammonisce Saverio nel suo ultimo nostalgico monologo – il senso stesso del sentire.

 

Replica del 14.11.2021 – Teatro Sannazaro, Napoli

 

 

 

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