“Chi ha paura di Virginia Woolf?”, la regia di Cirillo sconfigge l’usura del tempo

173007980-51213c34-04c2-46a8-9565-9b97d45c8069Riproporre un testo scritto oltre cinquant’anni fa, diventato immediatamente film di successo (con Elisabeth Taylor e Richard Burton, per la regia di Mike Nichols), messo in scena, fin da allora, dai più prestigiosi attori e registi del nostro teatro, poteva sembrare una scommessa arrischiata, quasi suicida. Invece Arturo Cirillo, a un tempo regista e interprete, Milvia Marigliano, assieme a Edoardo Ribatto e Valentina Picello, l’hanno vinta alla grande.

Da dove cominciare? Forse dalla distribuzione, che vede tutti e quattro gli interpreti calati con naturalezza ed autenticità in ruoli dove, da un lato, era in agguato il pericolo di farne delle macchiette; dall’altro, di una recitazione accademica. La vicenda si consuma in una sostanziale unità di tempo: una tarda serata ove, dopo una festa fra docenti universitari, George e sua mogie Martha si ritrovano per un ultimo bicchiere col più giovane collega Nick e la moglie Honey. Ma quello che potrebbe essere un formale, anodino momento conviviale si trasforma, a poco a poco, in una sorta di psicodramma ove, in un crescendo di drammaticità vengono alla luce gli ingombranti scheletri nell’armadio di ambedue le coppie.

Chi-ha-paura-di-Virginia-WoolfPeraltro, la regia di Cirillo, pur dando il giusto risalto ai sapienti coup du théâtre del testo, procede senza scarti violenti: si direbbe improntata ad un equilibrio dinamico fra reale e simbolico. Una scelta che sembra esplicitarsi simbolicamente anche nella incongrua trasparenza d’acqua del brandy e del whisky che i quattro personaggi continuano a versarsi e a bere in abbondanza nel corso di tutta l’azione che, come osserva lo stesso Arturo Cirillo nelle note di regia, è amalgamata, dal “basso continuo” dato dallo stato di alterazione alcolica. Così per la scenografia: un interno alto borghese del secondo 900 (coevo al testo, che è del ’62); ma i divani, alla maniera di Ronconi, scorreranno lungo la larghezza del palcoscenico, sia a segnare i passaggi temporali, sia a suggerirci simbolicamente uno sfaldamento del clima comunicativo.

Milvia Marigliano offre qui una delle sue prove più mature, anche più convincente della pur apprezzata, recente interpretazione della madre Amanda in Zoo di vetro, declinando con passione, ma senza mai andare sopra le righe, le molteplici sfaccettature di Martha: la sensualità, ai limiti dello sfacciato, l’aggressività, ma anche le frustrazioni inveterate e – buona ultima – l’intima fragilità del personaggio.

Anche George – una carriera universitaria dignitosa ma non brillante, la cui insoddisfazione sfoga in una ironia acida – è tratteggiato da Cirillo in un registro controllato, tanto più efficace in quanto sommesso. Non meno felice la resa, da parte di Edoardo Ribatto e Valentina Picello, del prestante Nick e della timida, nevrotica Honey: due caratteri non semplici, ambedue restituiti con toni di verità, alieni da stereotipi. La Picello, in particolare, si riconferma attrice di razza, anche in ruoli che solo una visione antiquata del teatro potrebbe considerare secondari.

Ha forse senso chiederci quanto quelle dinamiche psicologiche ed affettive, ormai lontane nel tempo e nello spazio, possono parlare alla sensibilità del terzo millennio.

A prescindere dalla riuscita e la gradevolezza spettacolare del lavoro – elementi che tuttavia hanno un loro non secondario significato – direi che quei complessi grovigli affettivi, anche dolorosi, ben lontani dagli archetipi sentimentali cui le telenovelas ci hanno abituato, continua ad offrire occasioni di riflessione e turbamento allo spettatore odierno; anche a quella generazione, come la mia, che ha vissuto il ’68 e le sue utopie, purtroppo tradite.

 Claudio Facchinelli

 

Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee, traduzione di Ettore Capriolo. regia di Arturo Cirillo. Con: Milvia Marigliano, Arturo Cirillo, Valentina Picello, Edoardo Ribatto.

Scene di Dario Gessati; costumi di Gianluca Falaschi.

Produzione Tieffe Teatro Milano.

Visto in prima nazionale al Teatro Menotti, maggio 2015

 

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