“Artemisia”, la pittura sopra ogni cosa

E’ una scrittura di carattere quella di Mirko Di Martino, accattivante, metodica nello svelare aspetti umani di personaggi complessi, usando talvolta la lente dell’investigatore – attento ma freddamente distante – a volte uno specchio convesso che deforma diabolicamente ogni storia, riducendola alla miseria dell’umano destino o montandola alla forma gigantesca dei più alti ideali filosofici. “Artemisia” è di questa produzione chiaro esempio. Monologo a più voci, dove Titti Nuzzolese – musa di Di Martino che cura anche la regia dello spettacolo per Teatro dell’Osso – interpreta il ruolo della pittrice seicentesca che più di tutte ha rappresentato la figura dell’artista al femminile. Mentre ci racconta alcune tra le sue maggiori opere illustrandole, opere in cui accentuò gli aspetti di un racconto e una disposizione drammatica di forte ispirazione caravaggesca, l’Artemisia di Mirko Di Martino, incalzata dal bravo Antonio D’Avino, ci investe con violenza del dramma umano dell’essere donne, artiste in un’Italia seicentesca così colta e sensibile all’arte tutta e, allo stesso tempo, così priva di scrupoli nell’usare violenza, psicologica e fisica per imporre una presunta supremazia maschilista sui talenti appartenenti all’altro sesso. La storia e il racconto non indugia in facili sentimentalismi toccando le vibranti corde del racconto dello stupro subito da Artemisia Gentileschi e denunciato presso un tribunale vaticano, ma scivola tra la dimensione del reale – o presunto tale – e una dimensione surreale in cui la protagonista è assalita da tutto il repertorio di ricordi, incubi, idee, aspirazioni irrealizzate che hanno lasciato traccia sulle sue tele, quasi dimenticate dalla critica artistica dei secoli successivi. E che ora trovano voce in questo spettacolo efficace e ben reso scenicamente.
Antonio Gargiulo

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