Alla ricerca del Mar: più metafore che vita vera

Non è facile confrontarsi con la storia,  comunque significativa, del Teatro de los Andes, compagnia boliviana di avanguardia creata ben 25 anni fa da César Brie e Giampaolo Nalli, senza avvertire una sorta di innato rispetto per un lavoro che, negli anni, ha acutamente accompagnato la crescita dell’esperienza attoriale e la ridefinizione del concetto stesso di messinscena.

 

Mar, il lavoro presentato per l’edizione 2016 del Napoli Teatro Festival, ci propone la possibilità del viaggio, quello intrapreso da tre fratelli boliviani, alla ricerca del mare, per soddisfare l’ultimo desiderio dell’anziana madre: morire tra i flutti, nell’immensità dell’Oceano.

 

L’impianto narrativo, dunque, è indubbiamente un impianto fortemente simbolico e metaforico. L’intera realizzazione scenica sembra tendere alla determinazione di un cerimoniale. Una liturgia umana e ctonia, fatta di rifrazioni, corrispondenze e perlustrazioni segniche.

 

Eppure, a fronte di un progetto strutturato in maniera tanto suggestiva, la concreta realizzazione scenica delude e “raffredda” qualsiasi pur prevedibile picco drammatico ed emotivo. A partire dal testo, assolutamente privo di potenzialità drammaturgico-narrative, manifestamente lirico e declamatorio, passando per l’interpretazione attoriale, inusitatamente enfatica, e finendo alla direzione registica, curata da Aristides Vargas, che indugia in maniera eccessiva sull’impianto laboratoriale, slabbrando tempi e ritmi, Mar arriva allo spettatore come fosse neutralizzato di qualsiasi pur auspicabile possibilità d’incanto.

 

E così, più fucina antropologico culturale che vivo progetto per la scena, secondo una visione della forma drammaturgica decisamente sorpassata e inadatta alla vocazione innovativa e contemporanea di un Festival Internazionale, Mar risulta essere certamente un prodotto solo parzialmente riuscito, un’opportunità mancata per diffondere in modo efficace e costruttivo l’esperienza preziosa di questa blasonata compagnia sudamericana.

 

Claudio Finelli

 

 

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