Al Filodrammatici, dopo cinque anni, le Illecite visioni diventano lecite

I segni di un’evoluzione del comune sentire?

Nel 2014, presentando in conferenza stampa la terza edizione di Illecite visioni, rassegna di teatro omosessuale, Marina Gualandi, direttore organizzativo del Teatro Filodrammatici di Milano, auspicava che iniziative siffatte andassero a esaurirsi; che non fosse più necessario organizzare una rassegna focalizzata sul teatro omosessuale, ma che il tema delle differenze di orientamento sessuale potesse entrare, senza scandalo, nella normale stagione teatrale.

A distanza di tre anni, qualcosa si è mosso in questo senso. È un fatto che la legge Cirinnà, pur con i suoi limiti, ha contribuito a modificare l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti dell’omosessualità. Ed è plausibile che ciò abbia avuto un peso nella decisione, da parte di Mario Cervio Gualersi, direttore artistico del festival, di cambiare il nome della rassegna che, da “Illecite visioni” è diventata “Lecite visioni”. Non solo, ma uno dei lavori più interessanti della rassegna, Atti osceni – I tre processi di Oscar Wilde (regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia) è andato in scena, non per una sola sera al Filodrammatici come gli altri spettacoli, bensì al teatro dell’Elfo, per più di tre settimane, all’interno di un progetto dedicato a Wilde inserito nella stagione teatrale.

L’autore, Moisés Kaufman, è un venezuelano di ascendenza ebraica ashkenazita, naturalizzato statunitense, gay dichiarato. Lo spettacolo, di notevole impegno produttivo (nove attori che si avvicendano in scena in una pluralità di ruoli), rievoca i dolorosi eventi occorsi a uno dei più brillanti autori dell’800, travolto nel momento del massimo successo da una complessa vicenda giudiziaria in cui l’ipocrita società vittoriana, che aveva esaltato lo scrittore, lo distrugge. Uno splendido Giovanni Franzoni rende con intelligenza e sensibilità, fin dalla postura, inizialmente fiera e sdegnosa, poi via via più dimessa, la dolorosa involuzione di quella geniale, complessa figura. Una regia attenta e abile riesce a conferire vivacità e lievito spettacolare a quella che è, in sostanza, una cronaca giudiziaria, anche grazie all’uso sapiente di immagini proiettate sul fondale, per lo più afferenti alla coeva scuola pittorica dei Preraffaelliti.

Un modo spiritoso e intrigante di trattare il tema dell’omosessualità caratterizza Praga di Javier de Dios Lopez, prodotto da “La Barca Teatro” di Madrid, dove il classico triangolo, “lui, lei e l’altro”, viene declinato nella forma “lui, lui e l’altra”. Con naturalezza e ironica levità vi si rappresenta una raffinata coppia di maschi, conviventi da anni, che si trova ad affrontare, non senza difficoltà, il progetto di avere un figlio. Le cose si complicano ulteriormente quando, nel rapporto con la vecchia amica di entrambi, disponibile a offrire il suo contributo di fattrice, emergono componenti emotive che spiazzano quello che sembrava un equilibrio consolidato nella coppia, con dinamiche che riecheggiano quelle del triangolo adulterino tradizionale: felicemente frequentate da Feydeau, cento anni prima, e accettato all’epoca, senza scandalo, dal comune sentire borghese.

Anche la prosa scabra, dolorosa di Franco Scaldati, con Ombre folli (regia e interpretazione di Enzo Vetrano e Stefano Randisi), ha offerto alla rassegna un contributo di alto profilo: un’esplorazione fra il realistico e il surreale di quel mondo di reietti, vicino alle corde dell’autore, proposta nella sua personalissima e reinventata lingua palermitana.

A conclusione, La notte, uno spettacolo-concerto tratto da La nuit juste avant les forêts di Bernard-Marie Koltès, nella rilettura di Pippo Delbono, autorizzata dal fratello dell’autore. Suggestivi gli interventi musicali di Piero Corso, ma notevoli le perplessità suscitate dall’esibizione del performer, la cui prevedibile, ossessiva autoreferenzialità caratterizza ormai costantemente i suoi spettacoli. Le integrazioni al testo, lungi dall’aiutare lo spettatore a penetrare o illuminare la non facile scrittura di Koltès, si limitano a fornirci informazioni – peraltro risapute – sulla personalità dell’interprete. Un’operazione teatrale costituita da una lettura con accompagnamento musicale e alternata a improbabili esibizioni coreutiche, che mostra la corda: scontato lo schema drammaturgico; ripetitivo e limitato il registro espressivo, affidato ora a toni urlati, ora soffiati, ma sempre violentemente amplificati.

Riserve, queste, che non intaccano la complessiva validità della rassegna, il cui valore, al di là delle valutazioni, per loro natura opinabili, di singoli spettacoli, prima di ogni altra considerazione è sociale e politico.

E se forse è eccessivamente ottimistico riconoscere in quel cambio di denominazione un’evoluzione del comune sentire, l’operazione costituisce sicuramente un contributo affinché ciò succeda.

 

Caudio Facchinelli

 

Lecite visioni

Rassegna di teatro omosessuale promossa da Teatro Filodrammatici di Milano

20/29 ottobre 2017

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